Allegri: «Vorrei allenare ancora in Italia. Altrimenti mi piace l'Inghilterra»

Massimiliano Allegri
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Sabato 5 Dicembre 2020, 13:03

L'Italia resta in cima alle sue preferenze, ma di fronte a difficoltà oggettive per trovare una squadra del suo livello, Massimiliano Allegri si prepara ad emigrare in Premier League studiando l'inglese. Nel corso di una lunga intervista al quotidiano Times l'ex tecnico di Milan e Juventus si è presentato al pubblico d'Oltremanica, illustrando la sua idea di calcio («più psicologia che tecnica»), la sua ammirazione per il Liverpool di Jurgen Klopp («Al pari del Bayern Monaco è la squadra più forte al mondo: aggressiva, tecnica e veloce, e ogni anno migliora»), e soprattutto rivelando la sua voglia di tornare in panchina dopo oltre un anno da spettatore: «Sicuramente! Mi piacerebbe un'esperienza in Premier League. In Italia ho allenato quattro anni il Milan, cinque la Juventus. Adesso vorrei lavorare ancora in Italia, ma è difficile, o in Inghilterra». Nel frattempo il tecnico toscano si prepara studiando l'inglese (ha condotto tutta l'intervista - tramite collegamento Zoom - in inglese, ndr): «Sto migliorando il mio inglese. Sto studiando». Non solo la lingua di Shakespeare, però, ma anche il calcio giocato sull'isola. «La cosa più importante è che ogni nazione ha la propria storia, che è sempre diversa dovunque si vada. Ed è difficile cambiarla. Ma il calcio inglese è migliorato perché ci sono molti allenatori stranieri.

Ora c'è molta più varietà tattica rispetto a dieci anni fa. C'è il giusto equilibrio tra il tradizionale spirito del calcio inglese e la nuova qualità e il nuovo approccio tattico dei nuovi tecnici». Che però non devono eccedere - ammonisce Allegri - nel tatticismo esasperato, come viceversa viene insegnato nei corsi di Coverciano. «Il gioco è deciso dai giocatori, l'allenatore per l'80% deve essere psicologo, e solo per il 20% intervenire tatticamente. Dobbiamo connettere il nuovo modo di allenare con i vecchi sistemi. Anche a Coverciano la cultura dovrebbe cambiare perché gli allenatori non devono essere così dipendenti dalla tattica». Né, tanto meno, trasmettere inutili ansie ai giocatori, ma al contrario assecondarne caratteristiche e qualità. «È la forza dei giocatori a fare la differenza. In carriera ne ho allenati numerosi, da (Giorgio) Chiellini ad (Alessandro) Nesta, da (Gennaro) Gattuso a (Clarence) Seedorf, fino a (Zlatan) Ibrahimovic e (Cristiano) Ronaldo». Nota speciale per il campione portoghese, cinque volte Pallone d'Oro. «Nonostante tutto quello che ha vinto, e nonostante abbia sempre fatto la differenza, ogni anno si pone nuovi obiettivi, ha una mentalità diversa da tutti gli altri».

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