E quella Roma, la Roma del Flaminio, nella mente dei tifosi viene ricordata come una delle più belle, delle più vere di sempre. Perché non aveva la classe di quella che pochi anni prima aveva vinto lo scudetto, ma un cuore grande così. Grazie a giocatori di immensa personalità come Tancredi e Conti, e poi Nela, Cervone, Voeller, autore di 14 pesantissime reti in campionato, Giannini, Desideri e Rizzitelli per citarne solo alcuni, e sempre pronti a battagliare a viso aperto con il nemico.
OLTRE L’APPARENZA
Radice era un tecnico dai modi spicci, che poco guardava all’etichetta, ma proprio per questo i suoi giocatori lo adoravano. E al Flaminio si trasformavano. Ne fece le spese, ad esempio, la Juventus, piegata dal gol di Desideri, e quella volta la festa per Radice fu doppia ricordando i suoi trascorsi granata, con lo scudetto vinto nel ‘76 grazie a gente come Pulici, Graziani e Claudio Sala.
Già, il Toro e poi il Milan, l’altra squadra della sua carriera con la quale da giocatore vinse tre campionati e una Coppa dei Campioni. Ma quando indossò la tuta della Roma, Gigi si sentì al volo a casa sua perché nella società di Dino Viola riconobbe i principi della sua vita. I giocatori di quel periodo raccontano di un uomo duro in campo ma divertente e addirittura dolce fuori, capace di tenere il gruppo dalla sua parte anche con una serie infinita di aneddoti, battute e racconti spesso ingigantiti a mestiere.
Ma andava bene anche così, perché la Roma in quella stagione chiuse serenamente al sesto posto, nonostante il dramma di Manfredonia, gettando le basi per i ruspanti Anni Novanta che, da Ottavio Bianchi in poi, hanno trasportato la squadra giallorossa verso il terzo scudetto della sua storia.
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