La favola di Brindisi, la Cenerentola nata al Sud

La favola di Brindisi, la Cenerentola nata al Sud
di Marino Petrelli
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Martedì 15 Dicembre 2020, 09:30

Francesco Vitucci, l’allenatore della Happy Casa Brindisi, alla vigilia della partita contro Milano era stato chiaro: andiamo a giocare contro l’orso grizzly, grande e grosso, e tocca a noi difendere la foresta. La metafora aveva reso bene l’idea di quanto la partita tra la prima e la seconda in campionato sarebbe potuta essere impari. Almeno sulla carta, perché sul campo Brindisi ha giocato una partita perfetta, soffrendo quando c’era da soffrire, aggredendo quando c’era da aggredire e piazzando i colpi vincenti in un finale punto a punto quando l’Olimpia avrebbe potuto sfruttare l’inerzia e l’onda lunga della sua profondità. Invece, la New Basket passa al Forum, come la passata stagione quando gli “eroi” di serata furono Stone, Brown e Banks, ma questa volta il “game, set and match” vale anche il primato in classifica. Con nove successi consecutivi in campionato (sarebbero dieci se i due punti contro Roma non fossero stati tolti per l’esclusione della Virtus dal campionato) e una voglia di stupire anche in Champions League, dove Brindisi ha ottenuto due vittorie su tre partite. In pratica, dal 27 settembre ad oggi i pugliesi hanno perso soltanto a Venezia alla prima di campionato, contro i campioni di Italia in carica, e a Burgos contro i campioni di Champions in carica. Per il resto, una “Nona” di Beethoven e un direttore d’orchestra, Vitucci, che in città tutti chiamano fraternamente Frank e che di musica se ne intende, espertissimo di jazz, musica classica e provetto suonatore di chitarra. 
LA PRIMA VOLTA
Dunque, la “Stella del Sud”, come la squadra viene chiamata da quando nel 1981 fu promossa per la prima volta in serie A e allora unica squadra meridionale, vola lassù in alto, dove osano le aquile. 
Simone Giofrè, il direttore sportivo che ha fatto tanto bene anche a Varese e Roma, va a pescare giocatori semi sconosciuti alla grande platea ma capaci di diventare grandi. È il caso di D’Angelo Harrison, nato in Alaska, e arrivato dopo una finale scudetto giocata in Israele chiusa con 31 punti realizzati.

Un “top scorer” da quasi 19 punti a partita e oltre 190 tatuaggi. Oppure Derek Willis, nativo americano, discendente da ben tre tribù di pellerossa. E ancora Nick Perkins, gigante buono pescato in Giappone, che quando scende in campo tanto buono per gli avversari non lo è. Poi gli italiani, da capitan Zanelli, alla terza stagione a Brindisi, a Visconti e Udom, arrivati dalla A2 ma già ben inseriti, fino a Raphael Gaspardo, che ha esordito in Nazionale qualche settimana fa nella bolla di Talliin. Un gruppo vincente in campo e fuori. E una società guidata da quasi dieci anni dalla famiglia Marino: papà Nando è il presidente, appassionato e super tifoso, Tullio, suo figlio, che ha fatto le ossa proprio in casa Olimpia Milano per poi mettere in pratica a Brindisi nuove strategie di marketing e comunicazione social, aiutato in questo dall’addetto stampa Stefano Rossi Rinaldi, E se Milano traina i ricavi della serie A, Brindisi in epoca pre pandemia era tra le più forti al botteghino, con quasi tremila abbonati in casa (il vecchio Pala Pentassuglia, dedicato a uno dei padri storici della pallacanestro brindisina, ne può contenere 3500) e presenze oceaniche nelle ultime due finali di Coppa Italia. Il nuovo palasport da quasi seimila posti ha avuto il via libera, la passione di Brindisi e di una regione intera vuole volare ancora più in alto. Intanto si gode il primato. La foresta è ancora da presidiare e difendere.

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