Tiralongo, il dififcile lavoro del gregario
«Aru è super ma adesso guardate Miguel Lopez»

Paolo Tiralongo Astana
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Lunedì 30 Novembre 2015, 10:03 - Ultimo aggiornamento: 10:14
di Francesca Monzone
Una squadra vince non solo per il suo capitano, per quella perla di corridore che tutti vorrebbero avere o essere. Una squadra vince ed è forte grazie ai suoi gregari, quei corridori che danno tutto ai loro capitani e quando questi vincono allora la vittoria è anche di quel corridore che in corsa lo ha aiutato, protetto e sostenuto. Tra i gregari più importanti nel panorama internazionale troviamo Paolo Tiralongo, l'uomo, il compagno che ogni grande corridore vorrebbe avere al suo fianco. Tanto importante e ben fatto il suo lavoro che persino un campione come Contador, per ringraziarlo dell'anno passato insieme all'Astana, lo ringraziò aiutandolo a conquistare una tappa al Giro d'Italia. Paolo, la sua è una vita da gregario ci spieghi questo ruolo spesso frainteso.
«Per essere bravi gregari bisogna avere il sentimento dentro di sacrificio perché questo è un ruolo difficile. Di campioni veri in realtà ce ne sono pochi, come anche di bravi gregari e quando un corridore non un fuoriclasse vince, buona parte della sua vittoria è merito del gregario».

Spesso si pensa che il gregario sia quel corridore che porta le borracce e cede la sua bici al capitano in caso di bisogno. È così?
«Assolutamente no. Un gregario deve costruirsi il gruppo che poi aiuterà il capitano e deve saper parlare anche con i corridori delle altre squadre. Poi, certo, se serve prende borracce e cede la bici, ma questo in situazioni particolari lo fa anche il capitano. Noi dobbiamo agire con tattica e capire cosa succede in mezzo al gruppo e siamo anche quelli che riprendono i fuggitivi».

Ci faccia un esempio.
«Nella tappa di Imola al Giro Aru stava male e il gruppo se lo avesse capito avrebbe potuto buttarlo fuori classifica. Sono andato io a parlare con Contador chiedendogli di fare una corsa non troppo dura. Ed è stato sempre il mio il compito di aiutare non solo fisicamente ma anche moralmente Aru a non arrendersi in quella tappa».

Parlando di Aru, è vero che è merito suo se oggi corre con i colori dell'Astana?
«Fabio abitava vicino casa mia vicino Brescia e lo vedevo quando usciva in bici e anche se poco più di un ragazzino si vedeva che aveva la stoffa del campione. Così iniziai a portarlo con me in allenamento e lo segnalai all'Astana e oggi posso dire di essere orgoglioso di essere il suo gregario. Aru ora è cresciuto e ora ho preso sotto la mia ala un altro futuro campione».

A chi si riferisce?
«A Miguel Lopez, il più piccolo della squadra, un colombiano che farà presto parlare dei suoi risultati. Io di solito in camera sono solo ma lui l'ho fatto venire in camera con me per aiutarlo e gli sto vicino in allenamento. Mi racconta della sua famiglia, delle piantagioni del papà e dei suoi fratelli. Quando si è così giovani c'è anche nostalgia di casa e io lo so perché sono andato via giovanissimo dalla Sicilia e l'aiuto da parte di uno più grande è fondamentale».