Nuoto, la favola di Rikako: dall'incubo leucemia ai Giochi

Nuoto, la favola di Rikako: dall'incubo leucemia ai Giochi
di Piero Mei
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Martedì 6 Aprile 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 19:00

È tornata. «Tornerò», aveva detto Rikako Ikee quando, quasi diciannovenne, due anni fa, durante un camp in Australia le avevano diagnosticato la leucemia. Era la grande speranza del Giappone per Tokyo 2020. Di più: la nuotatrice era la ragazza immagine già scelta per l’evento nella sua città natale. Aveva appena vinto sei medaglie d’oro e due d’argento ai Giochi Asiatici di Giacarta 2018. Due anni prima, ancora alle scuole medie, era stata a Rio aveva partecipato a sette gare, niente medaglie ma grappolo di primati nazionali. La multinazionale Mizuno l’aveva subito messa sotto contratto.

Fu anche al suo sponsor principale che Rikako ripeté «tornerò, ve lo prometto; non toglietemi dalla pubblicità». «Peccato, resteremo senza medaglie» fu il commento del ministro dello sport: dovette dimettersi. Rikako dal nome gentile (ha a che fare con il profumo, i gelsomini e la bambina) rientrò subito dall’Australia e si chiuse in un ospedale di Tokyo. Chiese una cyclette vicino al letto. In ospedale è rimasta 10 mesi. Diceva, però, «è una malattia che se la curi correttamente puoi guarire completamente». Pensava che avrebbe dovuto saltare i successivi mondiali di nuoto a Gwangju, vicino casa in Sudcorea, estate 2019, e i successivi Giochi in casa. «Vuol dire che mi preparerò bene per Parigi 2024», diceva.

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Never give up

A Gwangju sul podio ci salì idealmente: le ragazze dei 100 farfalla quando furono lassù, girarono alle telecamere del mondo i palmi delle loro mani e c’era scritto “Never Give Up Rikako Ikee”, con due cuoricini in mezzo. Non arrenderti, Rikako. Lei non si è arresa, neppure quando i medici le hanno confessato che la chemioterapia cui si era sottoposta non stava facendo più gli effetti attesi, tra i quali, devastante, quello della caduta dei capelli. Rikako aveva preso anche questo come un evento di cui farsi testimone: si era tolta la parrucca e via social si era mostrata con i capelli cortissimi appena ricresciuti. La chemioterapia venne sostituita con le cellule staminali.

«Per Parigi farò in tempo ugualmente» diceva la Ikee. Sentì qualcuno in camice che confidava «magari anche prima». Si aggrappò a quella voce appena sussurrata: così 406 giorni dopo l’ultima volta, Rikako era di nuovo in vasca. Il «magari anche prima» poteva perfino legarsi, pensò, a quella sventura mondiale che aveva costretto al rinvio di un anno le Olimpiadi di Tokyo, che comunque avevano deciso di confermarla come ragazza immagine.

Rikako nuotò i 100 farfalla in solitudine quando inaugurarono il centro acquatico che ospiterà i Giochi; era stata sola anche nel National Stadium il 23 luglio, per una clip “un anno da”, che concludeva dicendo «spero che tra un anno là in fondo ci sia la luce della speranza».

 

Ma non era più sola l’altro giorno, ai trials olimpici di nuoto, quelli che stanno selezionando la squadra di casa. Pensava che le sarebbe bastato essere ai blocchi dei suoi 100 farfalla. Poi, giacché c’era, che le sarebbe bastato far bene la batteria, che vinse; la semifinale, che faticò; la finale. Che ha vinto: 57.77 il tempo. Non era quello olimpico per la gara individuale. Va bene, pensò, ci sarà Parigi. Poi pensò che per la staffetta mista il tempo richiesto era di 57.91. Aveva fatto meglio, dunque avrebbe “giocato in casa”. È rimasta in vasca a lungo, mescolando acqua e lacrime. Si era sempre rifiutata di perdere, anche in quei giorni chiusa nella stanza sterilizzata quando pensava che era «più difficile di quanto credessi». Ce l’ha fatta e dice a tutti «potete farcela anche voi».

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