Nina Zoeggeler: «Nella scia di papà Armin, ma non sono ancora Cannibale»

Nina Zoeggeler: «Nella scia di papà Armin, ma non sono ancora Cannibale»
di Gianluca Cordella
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Giovedì 27 Gennaio 2022, 01:12

Ha esordito in Coppa del mondo a 16 anni appena e ora, con i suoi 21 inverni sulle spalle - troppo ghiaccio intorno per parlare di “primavere” - si appresta a debuttare alle Olimpiadi. Specialità, nemmeno a dirlo, lo slittino che rese “Cannibale” suo padre Armin.
Nina Zoeggeler, come si fa a lanciarsi in velocità senza il peso del suo cognome?
«Ci si fa l’abitudine. All’inizio un po’ di pressione la sentivo, però con gli anni ho imparato a convivere con il mio cognome. Che sono orgogliosa di portare visto anche quello che è riuscito a fare mio padre in carriera». 
Parliamo di 6 titoli mondiali e di 6 edizioni dei Giochi consecutive sempre sul podio, con gli ori di Salt Lake 2002 e Torino 2006. Per tutti era “Il Cannibale”. Lei invece “chi è”?
«Per il momento solo Nì, come mi chiamano in famiglia. Un soprannome “sportivo” ancora non ce l’ho». 
Suo padre nel frattempo è diventato direttore tecnico azzurro. Com’è lavorare con lui?
«Devo dire abbastanza normale. Quando c’è da allenarsi, lo facciamo con impegno. Per tutti gli altri aspetti è sempre mio padre...».
Da veterano, più che da dt, quale consiglio le ha dato per Pechino?
«Di pensare prima di tutto a divertirmi. Sono una delle più giovani di tutta la spedizione olimpica azzurra: diciamo che la pressione di dover portare a casa una medaglia ce l’hanno più altri atleti rispetto a me. Io ovviamente darò tutto e chissà che non essere tra le favorite non possa poi essere un punto a mio favore». 
E, da papà, il miglior consiglio che le ha dato nella vita?
«Di scegliere sempre ciò che mi rende felice. È stato così anche per lo sport».
Riavvolgiamo il nastro: lei non ha cominciato subito con lo slittino...
«No, papà non ha mai spinto perché seguissi la sua strada. Da bambina, avevo 7 anni, iniziai con l’atletica. Poi il mio primo allenatore mi chiese se avevo voglia di provare lo slittino su pista naturale. Ne parlai con mia madre e decisi di provare. Mi piacque moltissimo. E così intrapresi quel percorso. Solo, dopo le scuole medie, decisi di cimentarmi con la pista artificiale. Ed eccomi sulle orme di mio padre...».
Anche come gruppo sportivo. Nel 2019 ha ricevuto gli alamari dei Carabinieri proprio da suo padre e si è messa a piangere...
«Un ricordo che porto sempre nel cuore: è stata una cerimonia molto emozionante, ma non solo per me. Anche lui si è commosso».
Con suo padre lo slittino azzurro ci aveva abituato bene, poi c’è stata una flessione inevitabile. Cosa ci serve per tornare al livello delle superpotenze europee?
«Credo soltanto l’esperienza. Siamo una squadra molto giovane, l’atleta più “anziano” ha 30 anni. Ci serve solo tempo».
La pioggia d’oro delle Olimpiadi d’estate è stata fonte di ispirazione? 
«Ho gioito soprattutto per l’oro di Gianmarco Tamberi. Un bel premio dopo tutto quello che gli era successo».


A proposito di campioni sfortunati: Sofia Goggia ha dovuto rinunciare alla cerimonia inaugurale e sta inseguendo un recupero che sembra impossibile.
«Sono rimasta senza parole quando ho saputo di questo ennesimo infortunio. Ma Sofia ha un carattere fortissimo e sono sicura che la vedremo al cancelletto di partenza della discesa libera di Pechino».
La valigia è già pronta?
«Sì, venerdì (domani, ndr) finalmente si parte. Sono emozionatissima e felice per essere riuscita a qualificarmi a questi Giochi».
Che, come a Tokyo, saranno purtroppo a porte chiuse. È la prima volta che accade alle Olimpiadi invernali...
«Mi dispiace moltissimo come credo a tutti gli altri atleti. Quando ti lanci con lo slittino è bello sentire il pubblico che ti incita. Ma in questo momento l’emergenza sanitaria viene prima di tutto. Mi rifarò ai prossimi Giochi».
 

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