Bruno Rosetti: «Quel bronzo non lo sento mio. Maledetto Covid, forse smetto»

Bruno Rosetti
di Gianluca Cordella
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Mercoledì 11 Agosto 2021, 07:30

dal nostro inviato

TOKYO Il sogno che si ferma a tre ore dalla sua realizzazione e si trasforma in un futuro che potrebbe, di nuovo, essere lontano dal canottaggio. Diario dei tredici giorni di positività di Bruno Rosetti, l’azzurro del quattro senza cui il Covid ha negato al fotofinish la possibilità di giocarsi una medaglia e, chissà, di migliorare il bronzo poi arrivato sul campo con Marco Di Costanzo al posto suo. Lunedì è arrivato il tanto atteso tampone negativo, ieri il rientro in Italia. Con una valigia piena di stanchezza, delusione e rimpianto. “Cinque anni non so di quante ore siano fatti: ecco io sono arrivato a tre ore dalla medaglia. Peccato”.

Ma la riceverà comunque…

“Certo e sarà sempre molto grato al presidente Malagò che si è battuto per questo riconoscimento. Ma la verità è che io la gara non l’ho fatta e questa medaglia non la sento mia. Assolutamente”.

Mi racconta quella brutta mattinata della positività?

“Stavo facendo colazione, intorno alle 7, e mi hanno convocato nella palazzina in cui c’erano i medici. Mi hanno messo in uno stanzino e mi hanno fatto il tampone nasale. Mi hanno tenuto lì tre ore e il test ha confermato la positività. Ma a quel punto cambiava poco: non sarei riuscito comunque ad arrivare in tempo sul campo di gara”.

Come ha reagito?

“Non ce l’ho fatta nemmeno a piangere. Sono rimasto senza parole e basta”.

E da lì sono partiti i 13 giorni di isolamento.

“All’inizio duri, poi mi sono messo il cuore in pace. Lì o passi le giornate a dare pugni al muro e fai la figura del pazzo, o aspetti con calma zen”.

Si è fatto un’idea di come l’ha preso? Lei è anche vaccinato.

“Sì ho fatto le due dosi di Moderna e sono stato completamente asintomatico. Anche la temperatura non è mai andata sopra il 36,8°. L’unico posto plausibile per il contagio sono le navette che ci portavano dal Villaggio al campo di allenamento. L’unica occasione in cui eravamo un po’ mischiati con gli atleti di altre nazioni”.

Com’è stato l’isolamento totale?

In realtà con gli altri avevamo modo di vederci. A colazione, pranzo e cena avevamo un’ora in cui potevamo andare a prendere da magiare. Sono diventato abbastanza amico di Sam Kendricks, un altro a cui il Covid ha sfilato la medaglia dal collo (nel salto con l’asta). Lui è tornato a casa già un paio di giorni fa”.

E le restanti ore in camera?

“Stanze tipo quelle di un traghetto. Avevamo due letti ma uno l’ho messo nel corridoio per avere un po’ di spazio in più per fare un po’ di esercizi. Mai visti medici, anche chi stava male andava a prendere le medicine da solo. E poi c’era questo speaker in camera che dettava i tempi. A cominciare dalle 7: ti svegliava questa voce che diceva “buongiorno a tutti, misuratevi la temperatura e l’ossigenazione del sangue”.

Stessa cosa alle 4 del pomeriggio. Dopo dieci minuti ti chiamavano in camera per sapere. Una volta sono andato a fare una passeggiata nel corridoio ma c’erano telecamere ovunque e mi hanno richiamato all’ordine. Insomma si poteva uscire solo per andare a prendere il riso”.

Solo il riso? Menù fisso?

“Sempre una ciotola di riso o di spaghetti, con una ciotolina più piccola con la salsa di soia. E delle verdure al vapore. E, nella giornata, per colazione, pranzo e cena mangiavamo la stessa cosa. Una volta hanno azzardato una salsa alla carbonara che non mi sono sentito di assaggiare. Ma avrei dovuto, per poterlo raccontare. Però potevi chiedere di farti spedire qualcosa dal comitato olimpico e qualche volta ne ho approfittato. Ho chiesto i ravioli”.

Al di là di tutto l’ha vissuta con lo spirito giusto. Gli altri?

 “C’era l’allenatrice del nuoto sincronizzato greco che è diventata positiva e lo ha attaccato a tutte le sue ragazze. Piangeva e basta, non riusciva a perdonarselo”.

Le imprese azzurre le hanno dato una mano a passare le giornate?

“Ho guardato tutto online, dalle 8 alle 22 ho visto qualsiasi cosa dalle batterie alle finali di qualsiasi cosa, soprattutto l’atletica. Sono stato felicissimo per le medaglie dei nostri doppi pesi leggeri: l’oro delle ragazze e il bronzo dei ragazzi. E mi hanno esaltato Jacobs e gli altri. Avrei voluto essere allo Stadio per vivermi quelle emozioni dal vivo”.

Lei anni fa si è stancato del canottaggio e ha mollato tutto, girando il mondo. Il rientro era stato proprio per inseguire i Giochi. Non è che adesso molla di nuovo?

“Ora non lo so. Ci penserò quando torno dalle vacanze. Domani parto per Lanzarote, poi si vedrà”.

Anche a Parigi mancano solo tre anni?

“Mancano ancora tre anni. Tutti dicono “solo” ma non è così. Sono tre inverni faticosi. Noi non siamo obbligati a fare i sacrifici che facciamo. E anche io, lamentandomi un sacco perché ho un carattere difficile, non mi sono tirato indietro. Ma adesso come adesso, non so se ho voglia di mettermi a fare tutta quella fatica con lo stesso impegno che ci ho messo in questi cinque anni”.

Nel precedente stop si divise tra Kazakistan e Australia. Questa volta dove andrebbe?

“Vorrei tornare a Sydney. Me ne sono innamorato. Però i miei amici australiani mi dicono che il Paese resterà chiuso fino a giugno 2022”.

Ah, si è già informato allora?

“Sulle cose australiane sono sempre informatissimo”.

Qual è la prima cosa che vuole fare?

“Ho voglia di fare un bagno al mare e una bella corsa”.

Ha più di 60 tatuaggi: farà anche i cerchi olimpici?

“Nel 2017 dissi che mi sarei fatto i cinque cerchi piccoli, un po’ più sobri di tutto quello che ho addosso, anche se avessi fatto solo la riserva. Però adesso ho cambiato idea, non li faccio più”.

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