La storia di Simone Barlaam, in acqua per essere libero

La storia di Simone Barlaam, in acqua per essere libero
di Emiliano Bernardini
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Mercoledì 12 Agosto 2020, 07:00
 L’acqua è l’Arché. La forza primigenia che domina il mondo, da cui tutto proviene e a cui tutto tornerà. Un elemento in cui le differenze spariscono. Dove gli uomini sotto tutti uguali. «Il nuoto è libertà. Il contatto con l’acqua mi dà una sensazione indescrivibile. Quando nuoto non sono vincolato a una protesi, non c’è gravità, non ci sono differenze. Mi sembra di volare» quando lo dice la voce di Simone Barlaam assume un suono melodico. Ti senti anche tu circondato dall’acqua che ti avvolge. Braccia che ti sostengono. Anche quando tutto sembra impossibile. Ed è forse proprio grazie all’acqua che tutto diventa possibile. Record del Mondo nei 50 dorso al Trofeo Internazionale Sette Colli in corso a Roma: 27.81. Simone ha battuto se stesso. Il precedente primato era sempre il suo, 29,08 stabilito a Brescia nel 2019. «Ho preso alla lettera lo sponsor della manifestazione, Frecciarossa» dice ridendo Barlaam. «Era la mia prima gara. L’ultima l’avevo fatta a dicembre. Per essere stata la prima batteria in assoluto della giornata direi che è andata bene». Già, l’ultima italiana a battere un record del Mondo in questa piscina era stata una certa Federica Pellegrini. Di Simone 20 anni compiuti da poco, primatista paralimpico nei 50 - 100 stile libero e 50 - 100 dorso di categoria S9, colpisce il modo in cui si racconta. Sempre sorridente. Una forza incredibile per chi, appena nato, ha dovuto sfidare la tempesta. 

L’ARCHÉ
Una storia che assume i contorni della favola. Simone è nato con una grave frattura del femore destro causata da un tentativo di rivolgimento che i medici avevano deciso di fare quando era ancora nella pancia della madre, per cercare di evitare un parto cesareo. Un femore angolato, piegato in alto e la gamba più corta che puntava verso l’esterno. Un calvario di cure estenuanti, con circa 12 interventi chirurgici (il primo a tre giorni di vita): allungamenti dell’arto e correzioni dell’anca. Come se non bastasse è subentrata anche una grave infezione che ha rischiato di fargli perdere la gamba a 5 anni. Riuscirono a salvargliela a Parigi. «Ho iniziato a nuotare perché era l’unica cosa che potevo fare senza che mi si rompesse l’osso. Ogni volta che poggiavo il piede a terra si rompeva tanto si era indebolito. L’acqua, invece, mi rendeva libero. E lo fa anche oggi». Simone ha il femore destro più corto di 15 centimetri. Ma questo non gli ha impedito di essere come tutti gli altri. «L’acqua è la mia amica. Per me ha un significato enorme». «Il nuoto è uno sport durissimo che ti costringere a guardare per svariate ore e più volte al giorno la linea blu disegnata in fondo alla piscina. Io in acqua sto bene. Mi sento libero». Per diventare agonisti ci vuole davvero tanta testa. «Il primo segreto è il divertirsi. Alla fine il nuoto è più sport di squadra di quanto si possa credere». Non è facile però andare avanti. Pochi giorni fa la Cusinato ha parlato di bulimia «Non siamo delle macchine. Siamo umani con tutte le nostre fragilità. Io credo che la disabilità faccia parte dell’uomo e non è solo quella fisica». Il nuoto come una grande famiglia: «La disabilità va trattata come normalità. Non mi piace il pietismo con cui spesso veniamo guardati. U n atleta paralimpico deve essere di esempio per quello che ha fatto nonostante la sua condizione, non puramente per cosa gli è successo. E’ giusto che si stia tutti insieme pur gareggiando divisi. Il Sette Colli è un grande esempio di questo progresso verso cui bisogna andare». Morlacchi «un fratello maggiore», Pellegrini e Paltrinieri «due miti assoluti». Oggi però i più giovani vedono Simone come modello «è una grande responsabilità. Ma dall’altro lato è un grande onore. Sentire bambini che ti dicono che grazie a te ora non si vergognano più della loro disabilità vale più di qualsiasi medaglia». Il nuoto ma anche lo studio. Laurea in ingegneria al Politecnico. Il disegno l’altra grande passione che lo rende libero. Di sognare. 
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