Niccolò Campriani: «Il mio futuro per i giovani»

Niccolò Campriani: «Il mio futuro per i giovani»
di Gianluca Cordella
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Martedì 3 Gennaio 2017, 11:16
ROMA La carabina è in pensione nel museo olimpico, l'ultimo colpo sparato resta il 9 che ha chiuso la gara di Rio e, forse, la carriera sportiva di Niccolò Campriani. Due ori in Brasile, dopo l'oro e l'argento di Londra 2012, e sedici anni condivisi con il tiro a segno che lo rendono, a 29 anni, un veterano già pronto per dedicarsi ad altro. «Ho bisogno di un po' di tempo per me, adesso. C'è da pianificare cosa fare da grandi».
È ufficialmente la sua ultima intervista da atleta?
«Chissà. La carabina non ce l'ho più ma ho anche fatto mille foto così so tutte le regolazioni, nel caso un domani volessi ricominciare. Per me è importante andare avanti di volta in volta, seguendo le mie passioni e non per inerzia. Noi olimpionici abbiamo la fortuna di sapere che ogni quattro anni arriva un momento in cui possiamo guardarci dentro e chiederci ragazzi, adesso che si fa?. In altre carriere ti svegli un bel giorno che hai 40 anni e ha tutto preso un'inerzia tale che non puoi più invertire rotta. Lo sport è stata la chiave che mi ha aperto un mare di opportunità - dal college in America allo stage in Ferrari -, era un acceleratore professionale. Adesso, per le offerte che sto ricevendo, rischia di diventare un freno. La mia sfida è capire come posso continuare a inseguire i miei sogni, a investire su me stesso, conciliando il tutto con uno sport che è parte di me».
Eppure a Tokyo 2020 ci sarà la novità della gara mista che la stuzzica...
«Sicuramente sì, se non ci fosse stata quella possibilità avrei già deciso di smettere. Però al di là del piacere di fare una gara accanto a Petra (Zublasing, collega azzurra di Niccolò e sua compagna nella vita), ci sono tanti altri interessi in questo momento. Ho 29 anni e probabilmente tanti treni o li prendo adesso o non ripasseranno più. ».
Il 2016 è stato un anno impegnativo più dal punto di vista sportivo o mediatico?
«È come aver vissuto due anni in uno. Fino alle Olimpiadi pensavo solo a fare bene a Rio, perché sentivo che sarebbe stata la mia ultima volta ai Giochi. Non pensavo, come era normale che fosse, a quello che sarebbe successo poi. Sono stato impegnatissimo ogni giorno negli ultimi quattro mesi e così si fatica a prendere decisioni con lucidità. Ma è bello pensare che i ragazzini che fanno il mio sport, dopo le Olimpiadi, abbiano iniziato a rivendicarlo a scuola. A non vergognarsi perché non si appassionano al calcio».
Sa che un magazine femminile l'ha inserita tra i 10 uomini dell'anno, insieme, tra gli altri, a Leonardo Di Caprio e Roberto Bolle...
«Saranno quelli del Vernacoliere che m'hanno fatto uno scherzo, noi toscani abbiamo il senso dell'umorismo (ride)».
Le prime medaglie a Londra e il doppio oro a Rio: quale dei due momenti ha stravolto di più la sua vita?
«Né l'uno, né l'altro. Probabilmente l'ultimo colpo di Pechino 2008, quell'8 che mi fece restare fuori per un punto dalla finale per le medaglie. Quell'errore lì fu traumatico e da lì decisi di andare in America, di voltare davvero pagina. Se non fosse arrivato quell'errore la mia vita, e quindi la mia carriera sportiva, sarebbero state diverse».
Se non dovesse tornarle la voglia di tirare cosa le piacerebbe fare?
«Penso a qualcosa di affine al mio percorso accademico. Mi piacerebbe applicare le mie conoscenze ingegneristiche e tecnologiche allo sport. Stare al computer sì, ma anche avere la possibilità di interfacciarmi con gli atleti per dare una mano ai ragazzi a perseguire i loro sogni».
Sta spingendo con Malagò per un piano che aiuti gli atleti a conciliare studio e sport...
«Sto lavorando su questo progetto da subito dopo Rio. Se si mette il ragazzo al centro di tutto, dandogli equilibrio anche attraverso lo studio, si investe sullo sportivo. Ogni tanto c'è sopportazione tra questi due mondi, farli avvicinare non è facile, anche se il Coni ha dato segnali importanti. Io dico che sono due mondi funzionali. Quando tiravo un grilletto di 60 grammi nella finale olimpica con 140 battiti, mi giocavo tanto ma sapevo bene chi ero. Non avevo bisogno di una classifica o di una medaglia per capire se ne era valsa la pena. Quello è un equilibrio che hai se metti tutto nel contesto di una vita, se vivi solo per quella medaglia è molto più difficile mantenere quella lucidità».
La politica sportiva potrebbe essere uno scenario?
«A me interessa che un ragazzino che ha ambizioni di essere un ingegnere o un medico e che ha una passione per lo sport non si trovi un giorno davanti a un bivio. Mi piace lavorare a progetti come questo, poi se questa è politica dello sport ne prendo atto».
Concludendo: le do appuntamento a...
«Credo che in primavera avrò un'idea più precisa di ciò che farò. Almeno per il 2017».