La carriera o la vita? Troppi incidenti, la Nfl si interroga e lancia l'allarme: «Danni cerebrali per un giocatore su tre»

La carriera o la vita? Troppi incidenti, la Nfl si interroga e lancia l'allarme: «Danni cerebrali per un giocatore su tre»
di Flavio Pompetti
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Lunedì 15 Settembre 2014, 10:19 - Ultimo aggiornamento: 13:23
NEW YORK

Un terzo dei giocatori professionisti di football americano arriva alla fine della carriera con danni irreversibili al cervello e con un’accentuata probabilità di sviluppare demenza, Alzheimer e altre malattie degenerative. A dirlo non sono più centinaia di medici che si trovano a curare gli ex giocatori, né i 5000 atleti che da due anni si battono in tribunale in un’azione collettiva che chiede 1 miliardo di dollari di risarcimento. È la stessa lega NFL ad ammetterlo, in un rapporto commissionato ad un gruppo di studio, ed allegato alle carte processuali della class action.



NELL’OCCHIO DEL CICLONE

Il giocattolo sportivo preferito dagli americani è sotto accusa, e rischia di rompersi. Il football è di gran lunga lo spettacolo preferito negli Usa, con un volume di affari che per quest'anno è previsto nell'ordine di 9 miliardi di dollari, e ha un traguardo di fatturato di 25 miliardi che il presidente della lega Roger Goodell ha fissato per il 2027. È chiaro però a molti che per renderlo più sicuro per chi lo pratica, le regole andrebbero riscritte per eliminare gli scontri più pericolosi, e in particolare gli impatti alla testa. Molti, ma non tutti: «Stiamo attenti a non de-mascolinizzare il football - ha ammonito in questi giorni il popolarissimo commentatore radiofonico ultra conservatore Rush Limbaugh - Questo tentativo di ridurre i nostri giocatori a delle ballerine classiche finirà per ammazzare lo sport». Su questa stessa linea di pensiero la sua collega Ann Coulter si era ribellata a luglio di fronte allo spettacolo della coppa del mondo di calcio, dichiarando lo sport «Un’attività da femminucce, uno spettacolo dove non succede mai niente, e l’unico motivo di eccitamento è l’occasionale istinto omicida di un poveraccio del terzo mondo che si scatena dopo un fischio ostile dell’arbitro».



PROBLEMI E GUAI

La violenza sul campo è solo la punta dell’iceberg dei problemi che la lega deve affrontare. La stessa cultura di aggressività machista e di prepotenza impunita, intossica a tal punto la base dei praticanti dello sport, che i giocatori della NFL vantano un record negativo raccapricciante all'interno del panorama sportivo americano: quello dei crimini commessi nella vita privata. Il quotidiano Usa Today ha raccolto i dati degli ultimi 14 anni, che mostrano numeri da capogiro: cinquanta giocatori vengono arrestati in media ogni anno per crimini che vanno dalla popolarissima guida in stato di ubriachezza agli omicidi (7 in 14 anni). In mezzo, c’è il nodo centrale del problema: 183 casi tra violenza domestica, assalti, e stupri (dieci quelli dichiarati).



I PRECEDENTI

Il più notorio tra i casi è quello della star Ray Rice runner back dei Ravens, che lo scorso febbraio era stato arrestato all’uscita di un’ascensore di un casinò, dove aveva picchiato la fidanzata, oggi moglie Janay Palmer. Il tribunale gli ha dato tre anni di carcere, poi tramutati in obbligo di consulenza terapeutica, e la lega lo aveva sospeso per due partite. Qualche giorno fa il sito gossip TMZ ha pubblicato il video della telecamera di sicurezza dell’ascensore, che mostra la violenza del pugno sferrato dal giocatore, e la caduta della donna, priva di sensi. TMZ ha rivelato anche che lo stesso filmato era stato visonato cinque mesi fa dal presidente della lega Goodell, e il disgusto popolare che questa notizia ha suscitato, ha finalmente fatto scoppiare il caso. Rice è stato sospeso indefinitivamente dalla NFL, mentre la FBI ha aperto un’inchiesta sulla lega.



MILLE INTERROGATIVI

Ci si chiede ora perché è permesso a Greg Hardy dei Panters di restare sul campo dopo la condanna penale due mesi fa per violenza domestica, e cosa accadrà ad Adrian Peterson dei Vikings, da sabato nelle mani delle forze dell’ordine dopo la scoperta nella sua casa di una “stanza di rieducazione”, dove frustava con un ramo d’albero flessibile il figlioletto di 4 anni fino a farlo sanguinare. La NFL non può più ignorare il rapporto tra la violenza ammessa sul campo e quella che si estende fuori dagli stadi, e una revisione della cultura dello spogliatoio non è più rinviabile.
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