Woods, a volte ritornano e vincono...

Woods, a volte ritornano e vincono...
di Gianluca Cordella
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Martedì 16 Aprile 2019, 11:00
Il tetto del mondo, poi la crisi, l’addio, il ritorno al vertice e poi, di nuovo, l’abisso delle debolezze psicologiche e fisiche. Spazzate via, ancora una volta, dall’ennesimo, imperioso, ritorno al successo quando sembrava impossibile anche solo il poter tornare a gareggiare. Benvenuti sulle montagne russe Tiger Woods. Una carriera così piena di saliscendi, per di più enormemente diluiti nel tempo, che non ha precedenti nella storia dello sport. Che pure si alimenta di grandi e trionfali ritorni. Ma la Tigre, con l’impresa di domenica scorsa all’Augusta Masters, ha alzato l’asticella dell’epica. Intanto perché la sua parabola sportiva - che poi è più che altro una storia di umane debolezze - per due volte ha vissuto il dolore dell’addio e in altrettante circostanze lo ha cancellato con l’adrenalina dei trionfi. E poi perché Woods, che dal primo addio datato 2009 ha regalato al fluire del tempo altri dieci anni, ha dovuto combattere non un nemico, ma un esercito di avversità, alcune buttate là dal destino, altre figlie della persona o del personaggio. 
LA DISCESA
Era il 27 novembre 2009. Tiger, numero uno indiscusso del golf mondiale e vincitore poco più di un anno prima - giugno 2008 - del suo 14° Major, l’Us Open, finisce sulle copertine dei giornali per un incidente automobilistico. Si scoprirà che la causa è stata una furiosa lite con la moglie Elin Nordegren, che aveva appena scoperto una lista di infedeltà da fare concorrenza a quella dei suoi trionfi sul green. Tiger lascia il golf seduta stante, c’è una crisi familiare con annesso divorzio da affrontare. In realtà il primo stop dura cinque mesi o poco più, Woods rientra proprio al Masters 2010. Ma i risultati non arrivano subito. Il campione è provato, finisce persino in clinica per curare la sua dipendenza dal sesso. Ma con il tempo riesce a lasciarsi tutto alle spalle, ritrova la vittoria e nel marzo 2013 si riprende anche la vetta della classifica mondiale. Peccato che, nel frattempo, la schiena abbia iniziato a cedere. Tiger prova a combattere il dolore ma deve arrendersi all’evidenza di un corpo che non ce la fa più. Sono ben quattro gli interventi chirurgici alla schiena affrontati negli anni successivi. Ma l’immagine del campione che lotta, purtroppo, viene sopraffatta dalle foto segnaletiche della polizia che il 29 maggio 2017 lo trova addormentato in un’auto accesa ai margini di una via di Jupiter, Florida. È vittima di un mix di antidolorifici e ansiolitici, presi per combattere i dolori di corpo e anima. È il punto più basso, mentre la classifica mondiale lo sbatte fuori dai primi 1000. Sembra la fine. Poi l’ennesima risurrezione, il 2018 da protagonista con il duello al British Open con Molinari e, infine, l’impresa di domenica, ad Augusta, su quei green che nel 1997 lo avevano rivelato al mondo. Allora, ad attenderlo alla buca 18, c’era sua padre; questa volta, i suoi figli. 
ALI, MJ E GLI ALTRI MITI
Tiger e gli altri, insomma, quelli delle resurrezioni. A Muhammad Ali servirono 7 anni. Nel 1967, da campione del mondo, si rifiutò di arruolarsi per il Vietnam. Fu arrestato e privato della cintura dei Massimi che riconquistò nel 1974 nella Rumble in the Jungle in Zaire contro George Foreman. Che, a sua volta, dopo altri 3 anni di insuccessi e 10 di ritiro, tornò sul ring per soldi nel 1987 e lottò fino all’incredibile riconquista della cintura mondiale Ibf e Wba nel 1994, battendo da quasi 46enne il 26enne Michael Moorer. Trionfò a quasi 50 anni Martina Navratilova, la regina del tennis. Si ritirò nel 1994, a 38 anni, rientrò nel 2000 in doppio e nel 2003 agli Australian Open e nel 2006 agli Us Open vinse altri due Slam nel misto. Leggenda. A Michael Jordan, invece, bastarono un paio di anni per capire che il baseball doveva rimanere solo un hobby. Riabbracciò i suoi Chicago Bulls nel 1995 e, a partire dall’anno dopo, infilò tre anelli Nba di fila. Ritorni, benedetti.
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