Doping, Malagò: «Atletica? Nessuno ha barato, la federazione è vittima». Giomi: «Atleti nel dramma, molti vogliono smettere»

Doping, Malagò: «Atletica? Nessuno ha barato, la federazione è vittima». Giomi: «Atleti nel dramma, molti vogliono smettere»
5 Minuti di Lettura
Giovedì 3 Dicembre 2015, 11:05 - Ultimo aggiornamento: 14:58
«Questi ragazzi non sono delle persone che hanno barato, è semplicemente un fatto di procedure di comunicazione della loro presenza con, all'epoca, dei sistemi di comunicazione che non sono quelli attuali, come le app attraverso le quali vengono trasmesse le posizioni». Sono le parole del Presidente del Coni, Giovanni Malagò, a Rtl 102.5 durante 'Non Stop News' a proposito del deferimento di 26 atleti della Federazione di atletica italiana. Secondo Malagò «l'attuale Federazione Italiana di atletica leggera, non solo è totalmente estranea ma per certi versi è totalmente vittima».

«C'è molta confusione nel leggere, nell'interpretare e nel capire di cosa si sta parlando. Sono vicende che riguardano sostanzialmente il quadriennio 2009-2012, in particolare, mi sembra, 2011 e 2012. Questa parolina magica che si chiama 'whereabout' che è praticamente un codice che impegna gli atleti divisi su due categorie, di fascia A e di fascia B, i primi quelli di grande rilievo internazionale che sono sotto l'egida della Wada, che è l'agenzia indipendente antidoping e quelli di fascia B che rientrano nei controlli a livello nazionale», spiega il presidente del Coni.

«Sulla base di quelli che sono stati gli incartamenti arrivati a pioggia e a singhiozzo, dato il volume dei documenti, dalla Procura di Bolzano dopo le note vicende che riguardavano il caso Schwarzer, la Procura nazionale antidoping ha disposto questi deferimenti solo e semplicemente in quegli anni, malgrado nessuno avesse segnalato questo tipo di comportamento anomalo, nessuno aveva nemmeno effettuato un warning, un'ammonizione, un cartellino giallo, e quindi ha dovuto necessariamente predisporre un atto dovuto nei confronti di 26 atleti su un blocco di 65».

«Questo lo dico con molta franchezza, non è giustificazione, è segnale di grandissima serietà e trasparenza sotto il profilo della governance della procura antidoping, perché dimostra di essere totalmente indipendente, come è giusto che sia, io la notizia lo letta da giornali e agenzie, e poi non è più procura del Coni ma ha assolutamente autonomia gestionale e soprattutto, con assoluta franchezza, questi ragazzi non sono delle persone che hanno barato, è semplicemente un fatto di procedure di comunicazione della loro presenza con, all'epoca, dei sistemi di comunicazione che non sono quelli attuali, come le app attraverso le quali vengono trasmesse le posizioni. All'epoca bisognava mandare dei fax che poi venivano inviati dalla Federazione alla Procura, insomma era un sistema molto poco efficiente», sottolinea Malagò. Il fatto non è che questi atleti non si sono resi disponibili e rintracciabili ai controlli.

«Non è esattamente questo, tanto è vero che moltissimi di loro che altrettanto avevano questo tipo di problemi, sulla base di testimonianze, di documentazioni, di verbali, sono riusciti a dimostrare le falle del sistema. Se andate a leggere le testimonianze di alcuni di questi ragazzi vi rendete conto che ci sono ampi elementi di giustificazione di tutto quello che è successo, di questa procedura», aggiunge il numero uno dello sport italiano. «Lo dico con franchezza e c'è anche un articolo, se volete agrodolce e un pò ironico, molti di questi ragazzi non hanno vinto niente. Nel quadriennio successivo, e lo dico con altrettanta sincerità, questa, se vuole, manchevolezza di carattere formale, che poi diventa anche sostanziale nel momento esatto in cui questo deferimento si tramutasse in realtà sanzionatoria al 100%, va condivisa con la Federazione dell'epoca, con la Procura dell'epoca, perché non ha fatto alcun tipo di ammonizioni, l'attuale Federazione Italiana di atletica leggera, scusate se lo dico, non solo è totalmente estranea ma per certi versi è totalmente vittima».

«Sono state richieste il massimo delle pene, non ne sapevo assolutamente niente, siamo arrivati al paradosso di sanzionare anche atleti che dicono che era stato mandato un fax in un posto, è documentato, in cui il fax era rotto, di conseguenza non era possibile comunicare la loro reperibilità, anche qualche atleta che non ha gareggiato, ha smesso di gareggiare.
Con tutto il rispetto del mondo il Comitato Olimpico esce come un gigante, penso ci siano ampi margini di giustificazione e difesa da parte dei ragazzi e delle ragazze, è un dato di fatto», aggiunge Malagò. Su cosa bisogna fare e cosa è già stato fatto, il presidente del Coni chiarisce. «Già si è messo le mani abbondantemente, è cambiato tutto, innanzitutto la struttura è completamente indipendente, molti vostri colleghi non sono informati di questa roba e continuano a parlare di Procura nazionale nel Coni, ma non significa nulla, c'è un'indipendenza di gestione assolutamente acclarata con persone diverse, ruoli diversi, deleghe diverse, c'è una collaborazione con i Nas che ha completamente aperto le porte degli uffici antidoping».


«Oggi siamo un modello anche all'estero in questo senso, il responsabile di tutta questa struttura è il Generale Dino Galitelli che è stato per lungo tempo il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, una persona il cui profilo e la cui carriera non hanno bisogno di commento. Io l'ho scoperto attraverso un'agenzia, le application oggi esistono, tanto è vero che un caso del genere non potrebbe succedere oggi perché alla prima scatta un warning, alla seconda il cartellino giallo, alla terza il rosso. Qui è successo che a distanza di 5-6 anni senza le ammonizioni vengono deferiti, non fatemi aggiungere altro perché penso di essere stato chiaro», conclude Malagò.

ALFIO GIOMI
«Mi porto dietro il dramma e la rabbia di molti atleti che tra ieri e oggi mi hanno detto 'noi smettiamo, chiudiamo quì. Ma noi della Fidal siamo sereni, su questi atleti io ci metto la faccia». Così il presidente della Federazione d'atletica leggera, Alfio Giomi, all'indomani della richiesta di squalifica di 26 azzurri da parte della Procura Antidoping Nado-Italia. «Io mi sento offeso per Fabrizio Donato - ha aggiunto Giomi parlando del triplista al suo fianco nella conferenza stampa tenuta nella sede della Fidal - Dicono che ha eluso i controlli? Ma in 15 anni di carriera quando mai? Probabilmente a gennaio ci sarà il processo, noi continuiamo a programmare il nostro lavoro per i Giochi di Rio con tutti quegli atleti dentro, perchè non ci sfiora nemmeno l'idea che possano essere condannati». «Siamo in prima linea nella lotta al doping e lo siamo con i fatti. Abbiamo assoluta fiducia nel sistema, ma non siamo d'accordo in questo caso - conclude Giomi - C'è stata negligenza e superficialità da parte di molti atleti, ma il doping è ben altra cosa. A 9 mesi dalle Olimpiadi siamo finiti sul banco degli imputati e abbiamo il dovere di rispondere. Riteniamo ci sia stato un errore, vogliamo aiutare a fare chiarezza restando però nell'ambito del sistema».