Russia, la prima nazionale dopo il doping di stato è con la scritta Rhf. Il Tas: «Non è stato un dimezzamento della pena»

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di Vanni Zagnoli
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Venerdì 15 Gennaio 2021, 21:03

E’ stata la prima volta di una squadra nazionale della Russia dopo il doping di stato. Ieri sera, ad Alessandria d’Egitto, ai mondiali di pallamano, ha pareggiato con la Bielorussia, 32-32. Dallo scorso mese, le nazionali russe possono ritornare in campo, ma senza cantare l’inno, sino al dicembre del 2022. Il Cio consente di usare la scritta Russia sulle maglie, stavolta non è stata usata, c’era solo il nome dello sponsor. Dalle casacche mancava anche l’aquila dello zar, rifulgono invece i tre colori nazionali, il rosso, il bianco e il blu.

Niente bandiera nazionale, ancora, mentre la denominazione utilizzata è Rhf, ovvero Russia handball federation, in alto a sinistra, sulla maglia rossa.

Viene in mente la Csi, confederazione stati indipendenti, denominazione usata al dicembre del ’91 da 15 stati dell’ex Urss, dopo la disgregazione. All’epoca la nazionale di calcio aveva eliminato l’Italia di Azeglio Vicini dalle qualificazioni agli Europei, nel ’92 partecipò con grandi aspettative, salvo uscire al primo turno, con la scritta Csi.

E’ un passo avanti significativo rispetto all'Ana, acronimo di Authorised neutral athlete usato per esempio ai mondiali di atletica del 2017, dai 19 rappresentanti della Russia. Autorizzati sino al mese scorso a partecipare a titolo individuale, adesso ritrovano dignità come squadre. I divieti valgono per Tokyo 2021 e per Pechino 2022, l’olimpiade invernale, e per ogni mondiale di questo biennio, dunque anche a febbraio, per i campionati di sci a Cortina d’Ampezzo e di fondo a Obertsdorf, in Germania.

La sanzione per il doping di stato è scesa da 4 a 2 anni, sforbiciata dal Tas di Losanna, che ha dato il via libera a gareggiare agli atleti e alle squadre non sanzionate per doping nè coinvolti in inchieste giudiziarie. Sono state pubblicate le 186 pagine di sentenza su quel piano attuato per una decina d’anni dai funzionari da Vladimir Putin: il presidente è appassionato di judo, arte marziale, una delle discipline olimpiche per antonomasia, tradita completamente nello spirito, da quel doping diffuso. C’era anche un piano di insabbiamento, i russi hanno cercato di distruggere i dati di laboratorio, di correggere documenti. Hanno creato mail apocrife, attribuendole a Grigory Rodchenko, nel tentativo di minare la credibilità dell’ex capo del laboratorio antidoping di Mosca.

E’ il medico pentito, fuggito negli Stati Uniti e protetto dall’Fbi, perchè rischia ritorsioni.

In particolare gli illeciti sono concentrati fra il 2014 e il 2019, vennero perpetrati della Rusada, l’agenzia nazionale russa antidoping.

La Wada, agenzia mondiale, era contro il dimezzamento della pena. Secondo Travis Tygart, capo dell’agenzia americana antidoping, “la sentenza del Tas è un colpo catastrofico all’integrità dello sport e del diritto, manipolato del Cio”.

Fra i tre giudici del Tas c’era anche un milanese, l’avvocato e professore Luigi Fumagalli, che preferisce non commentare. Da Losanna (gli altri giudici sono un francese e un australiano) trapela comunque che per loro non si tratta di dimezzamento della pena, poichè la sanzione non era ancora stata comminata in maniera definitiva. Si cerca di punire lo stato, non gli atleti. Putin chiederà una ulteriore riduzione della squalifica, in teoria il giudizio è finito e difficilmente riuscirà a trovare appigli.

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