Il guerriero Khabib si ritira in lacrime: l'addio è una promessa alla mamma

Il guerriero Khabib si ritira in lacrime: l'addio è una promessa alla mamma
di Gianluca Cordella
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Lunedì 26 Ottobre 2020, 09:30

L’ottagono è quel poligono con otto lati della stessa lunghezza e otto angoli della stessa ampiezza all’interno del quale due individui se le danno di santa ragione. Geometria dello sport. L’ottagono della Fight Island di Abu Dhabi sabato notte è diventato forse il poligono più famoso del mondo perché al suo centro, illuminato dalle luci dei riflettori, c’era un uomo che piangeva. Non un uomo qualunque, ma uno di quelli che normalmente è lì per darsele di santa ragione e che, in realtà, ha appena finito di farlo. Justin Gaethje, lottatore americano con un passato da minatore, fa da impietoso sfondo - mentre il suo staff cerca di rianimarlo - alla scena che ha lasciato sotto choc il mondo delle MMA, le arti marziali miste. Khabib Nurmagomedov, campione dei pesi leggeri dell’Ufc, è in ginocchio. Piange a dirotto, si copre il volto con gli occhi. Ha appena vinto il suo 29° incontro su altrettanti disputati e sta per consegnarsi alla leggenda, con dolore straziante. Lo tirano su, gli mettono in vita la cintura e in testa il papakha, il copricapo del suo Daghestan che lo accompagna da sempre e che più di ogni altra cosa è una rivendicazione di appartenenza. Viene proclamato vincitore e al microfono spiega tutto. «Dopo la morte di mio padre non volevo più combattere, non posso farlo senza di lui - dice - Ho promesso a mia madre che questo sarebbe stato il mio ultimo incontro, devo mantenere la parola». Khabib si ritira così, imbattibile e imbattuto, all’apice della carriera come tutti i miti che si rispettino ma con un dolore nel cuore che va oltre l’addio allo sport. 


LA PANDEMIA
E’ una vittima della pandemia, Khabib. Il coronavirus si è portato via suo padre Abdulmanap, che era anche il suo allenatore. Due mesi di agonia, un’operazione al cuore, il coma. Non è servito nemmeno l’aiuto di Vladimir Putin che ha mandato un aereo a Makhachkala, dov’era ricoverato, per farlo trasferire a Mosca. Non c’è nulla da fare, a luglio Abdulmanap muore. Non è casuale l’intervento del presidente russo: il papà di Khabib in patria è una leggenda. Cintura nera di judo sotto gli insegnamenti dell’oro olimpico Vladimir Nevzorov e campione nazionale di sambo, era un ufficiale pluridecorato dell’Armata Rossa. Un pilastro della Russia bellica, al punto da essere inserito nella lista nera dei 140 ex miliari sovietici non graditi alla Casa Bianca, che mai gli concederà il visto d’ingresso degli Stati Uniti. Ma di questo si parlerà dopo. Abdulmanap è l’uomo che indica a Khabib la strada del successo. La storia comincia a Sildi, villaggio di 200 anime, dove la famiglia Nurmagomedov festeggia la venuta al mondo di Khabib - è il 10 settembre 1988 - e prosegue a Kirovaul, centro di tremila persone - una metropoli a confronto - dove la famiglia si trasferisce poco dopo. Abdulmanap ha una stella senza tetto e delle mucche: vende le mucche e fa costruire il tetto. Quella diventa la prima palestra della futura stella. Si allenano in 15: Khabib, suo fratello e tutti i suoi cugini. Tutti sotto il regime militaresco imposto dal padre: allenamenti due volte al giorno, sessioni che possono durare anche 7 ore, punizioni per chi si distrae, nuoto controcorrente nel fiume gelido e cose di questo tipo. A proposito, fra le cose di questo tipo c’è anche la lotta con gli orsi. Khabib impara così le sue prime tecniche di sottomissione, esercitandosi con il cucciolo di orso di un vicino di casa. Il tutto documentato da vecchi videotape che ora accumulano piogge di clic su Youtube. Era il 1997. Il padre vuole avviare il promettente figlio a qualche disciplina olimpica ma Khabib vuole le MMA, sognando con i combattimenti del mito russo Fedor Emilianenko. E nel 2012 sbarca a Nashville per il suo primo incontro agli ordini del patron dell’Ufc Dana White. Papà però non c’è: ricordate il problema del visto? Non c'è e non sarà nel suo angolo per 8 lunghi anni, fino a quando Khabib sfida Poirier ad Abu Dhabi: lì il padre è il benvenuto. L’abbraccio a fine match fa il paio con le lacrime di sabato. Tutto il resto è l’ascesa senza freni di un campione diventato icona. Che nel 2018 surclassa la spavalderia di un altro mito, Conor McGregor (con poco edificante rissa finale e strigliata di papà) e l’anno dopo, con un incontro appena, mette in banca 17 milioni. Appassioanto di calcio, tifoso del Real, visto anche a San Siro per il derby, ha tra i suoi fan più sfegatati Zlatan Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo che ieri, dopo la vittoria, gli ha dedicato una story su Instagram: «Complimenti fratello, tuo padre è orgoglioso di te». Lo sarà anche la mamma, per quella promessa così difficile da mantenere, eppure mantenuta.
 

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