La vita di Nibali senza bici: «Ad oggi non ho eredi ma i giovani stanno emergendo. Le critiche? Non è stato facile»

L'ex corridore si racconta: «Spesso avrei voluto partire a fari spenti per essere più libero mentalmente»

La vita di Nibali senza la bici: «Ad oggi non ho eredi ma i giovani stanno emergendo. Le critihe? Non è stato facile»
di Carlo Gugliotta
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Venerdì 28 Ottobre 2022, 12:28 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 10:50

L'Italia del ciclismo resterà orfana del più grande corridore contemporaneo. Vincenzo Nibali ha appeso la bici al chiodo poco più di due settimane fa, dopo il Lombardia. Per circa un decennio, il siciliano è stato l'uomo di riferimento del ciclismo azzurro, diventando il secondo corridore italiano nella storia, dopo Felice Gimondi, ad essere riuscito nell'impresa di conquistare la tripla corona, ovvero il successo finale in tutte e tre le grandi corse a tappe, in un cammino che era iniziato alla Vuelta nel 2010. Ma Vincenzo non è stato solo un uomo da grandi giri. Come resteranno indimenticabili le sue imprese al Tour de France, quando nel 2014 vinse quattro tappe e la maglia gialla di Parigi, e al Giro d'Italia, dove resteranno nella storia le due maglie rosa finali, allo stesso modo è impossibile non pensare anche ai due trionfi a Il Lombardia, alla Milano-Sanremo del 2018, conquistata al termine di una fuga al cardiopalma, e i due campionati italiani, vittorie che lo hanno reso una delle leggende del ciclismo. Il vuoto che Nibali lascia è incolmabile.

Questi primi giorni da ex corridore sono stati rilassanti?
«Non proprio, sono super impegnato tra servizi fotografici e viaggi.

Sono in partenza per il Giappone, dove prenderò parte al Saitama Criterium di ASO, la società che organizza il Tour de France. Poi ci sono premiazioni varie e appuntamenti per programmare il futuro, oltre a tante cose arretrate. Pochi giorni fa ho avuto anche il piacere di correre in mountain bike la Capoliveri Legend Cup: mi sono divertito molto, ma sono arrivato al traguardo sfinito».

Ieri è stato presentato il percorso del Tour de France, la corsa da lei vinta nel 2014. Quali sono i suoi ricordi?
«I ricordi al Tour sono bellissimi, è una corsa dal prestigio immenso. Quest'anno abbiamo assistito a un bellissimo duello tra Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard: lo sloveno vorrà prendersi la rivincita, il danese partirà per imporsi di nuovo. Sarà una bellissima battaglia per la maglia gialla».

Nel 2024 il Tour dovrebbe partire dall'Italia: le dispiacerà non esserci?
«Dico la verità, sì. Mi sarebbe piaciuto essere a una partenza del Tour de France in Italia, perché non capita tutti i giorni, è qualcosa di raro. Le tappe sembrano davvero molto interessanti, con la partenza che toccherà prima la Toscana nel ricordo di Bartali e poi la Romagna, terra di Pantani, passando sulle strade di Coppi prima di arrivare in Francia. Penso sia una bellissima operazione sotto ogni punto di vista e mi dispiacerà molto non essere in gruppo».

Per tanti anni lei è stato il punto di riferimento del ciclismo italiano. Ha avvertito questa responsabilità?
«Sono tante le volte in cui avrei voluto partire a fari spenti per essere più libero mentalmente. Sapere di ricevere già una mezza critica se non riesci a raggiungere un certo risultato è destabilizzante. All'inizio mi arrabbiavo molto, poi ho capito che dovevo lasciarmi scivolare tutto addosso. Essere il ciclista italiano di riferimento mi ha fatto convivere con le critiche: le ho ricevute sempre, dai primi giorni dopo il mio passaggio da professionista fino alle ultime gare. A volte non è stato facile gestirle, soprattutto quelle un po' ingiuste piovute tramite i social network, ma dopo un po' impari a fare orecchie da mercante. Quando ti presenti al via di una gara sai bene dove puoi arrivare: alla fine, la cosa più bella, è vedere come la gran parte dei tifosi mi abbia sempre offerto un supporto incondizionato».

Alla fine di una carriera con così tanti successi, cosa le ha dato il ciclismo?
«Mi ha dato tanta notorietà e grandissime soddisfazioni personali nel raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato. Anche se non erano facili, anche se davanti a tutti ho sempre mantenuto un profilo basso, nel mio cuore avevo dei sogni importanti: averli realizzati è stata la soddisfazione più grande. Il ciclismo mi ha fatto conoscere tante persone molto buone e anche qualcuna da scartare. Mi mancherà tantissimo partecipare al Giro d'Italia e alle classiche italiane, soprattutto alla Milano-Sanremo e a Il Lombardia, dove il pubblico è sempre eccezionale».

C'è un corridore che può raccogliere la sua eredità?
«Purtroppo ad oggi non c'è, dobbiamo attendere ancora un po' di tempo. Ci sono tanti giovani che stanno emergendo: sono molto curioso di capire come evolverà Andrea Bagioli, che è un ragazzo molto interessante. Negli ultimi anni ho corso anche al fianco di due giovani come Giulio Ciccone e Antonio Tiberi, che in questa stagione ha raccolto qualche buon risultato. Bisogna vedere come maturerà, se come cronoman o come uomo da corse a tappe: in fondo ha solo 21 anni e dobbiamo dargli tempo. Ciccone invece lo conosciamo, è uno scalatore molto forte e un corridore coraggioso, ma a volte è un po' nervoso. Spero riesca a trovare quel sottile equilibrio che gli possa permettere di avere continuità».

 

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