Ricci Bitti: «Il Coni deve tornare centrale e libero. Da due anni Italia fuori dalle regole»

Ricci Bitti: «Il Coni deve tornare centrale e libero. Da due anni Italia fuori dalle regole»
di Romolo Buffoni
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Giovedì 24 Dicembre 2020, 08:05

Francesco Ricci Bitti, 78 anni, ex tennista ed ex presidente della Federtennis italiana e internazionale. Ingegnere, ha ricoperto ruoli manageriali in aziende di primissimo piano quali Philips, Olivetti, Alcatel e Telecom Italia. È stato membro del Cio e ha lavorato in seno alla Wada, l’agenzia mondiale antidoping. Membro della Giunta Coni, oggi è a Losanna in qualità di presidente dell’Asoif l’Associazione delle Federazioni sportive internazionali.
Il presidente del Coni Malagò ha lanciato l’allarme: l’Italia è fuori dall’ordinamento sportivo internazionale. E’ davvero così?
«Da due anni lo sport italiano è fuori dalla regole e nel Cio c’è incredulità nel constatare come un paese che era portato a modello dell’autonomia dello sport si trovi in questa situazione».
Cosa c’è di illegale nel fatto che la politica si occupi anche di sport?
«Nulla. Ben venga la politica, ma a patto che si occupi di sport per tutti o di promozione dell’attività fisica nella scuola. Per il resto la Carta Olimpica, che regola il settore dello sport agonistico di tutti i Paesi che aderiscono al Comitato Olimpico Internazionale, è chiara e non transige su 4 funzioni: 1) Vigilanza sportiva e normativa delle federazioni; 2) Autodeterminazione organizzativa delle stesse (ovvero le elezioni democratiche dei presidenti), comprese le strutture periferiche; 3) Gestione esclusiva di marchi e brand olimpici, come ad esempio i cinque cerchi e 4) Attività ausiliare allo svolgimento delle attività attraverso la Scuola dello Sport, il Centro di Preparazione Olimpica e il Centro di Medicina dello Sport. Tutto questo deve essere gestito dal Comitato Olimpico».
E invece oggi com’è la situazione?
«Da due anni, dalla creazione di Sport e Salute, società di diritto privato di diretta emanazione governativa, queste condizioni non esistono più e di fatto il Coni è svuotato delle sue funzioni. Non ha nemmeno più un dipendente. E’ una situazione eclatante e surreale. E si finisce per discutere su un problema risibile come il numero dei mandati».
Beh, l’attaccamento alle “poltrone” è un tema molto sentito...
«Ma si può risolvere benissimo, a patto che si usi gradualità e non si pretenda di azzerare tutto in un giorno».
Come giudica la legge di riforma dello sport?
«Affronta e introduce temi importanti ma è zoppa proprio perché non c’è stato accordo sull’articolo 1, quello fondamentale sulla governance».
Malagò ha anche evocato uno scenario “apocalittico”: niente bandiera e inno italiani ai Giochi di Tokyo. Come la Bielorussia del plenipotenziario presidente Lukashenko o come la Russia punita per doping di Stato...
«Ripeto, al Cio c’è incredulità per una situazione che, quando ero componente del comitato di vigilanza sull’autonomia del Comitato Internazionale Olimpico, apparteneva ai Paesi in via di sviluppo che non avevano un sistema di leggi adeguato. L’Italia è chiaramente un caso diverso ed ha anche ottenuto le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina ‘26, ma se resta fuori dalla regole tutto può accadere».
Come risolverebbe lei la situazione?
«Ridando al Coni una pianta organica di almeno 200 dipendenti necessari a farlo riappropriare delle funzioni richieste dalla Carta Olimpica e dividere gli asset: tutto lo sport agonistico al Coni; sport per tutti e sport nella scuola ad una agenzia dello sport o ad una società di emanazione governativa».

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