ANNI D’ORO
Erano gli anni che andavano a cavallo del Sessantotto, i tempi di Gimondi e di Merckx. Gli ultimi giorni di un ciclismo “eroico”, erede di quello già lontanissimo di Alfredo Binda, il “trombettiere di Cittiglio” al quale pagavano tutti i premi del Giro d’Italia purché non corresse e quindi non togliesse il sale della competizione. Come se oggi pagassero la Juve per non giocare il campionato. E di quello lontano di Coppi e Bartali, le cui imprese non avevano Pro-cam, né Var e nemmeno telecamere e dunque vivevano anche della tradizione orale che ogni volta le arricchiva di nuovi e più intriganti particolari: ma dietro lo “storytelling” non c’era il nulla che spesso c’era la fatica. Erano gli anni dell’avvento degli sponsor, i ciclisti trasformati in centimetri quadrati che urlavano le ditte (un’ondata di cucine, di salumi, di gelati, di supermercati, di caffè: quasi un catalogo dei gusti mutevoli dei consumatori) e si proponevano alle inquadrature televisive. Ma queste erano considerazioni di analisi più o meno sociologiche. Poi c’era il gruppo che passava, o l’uomo in fuga, la gente che scendeva per strada o saliva sulle montagne fin dalla notte prima: tutto per un volgere di testa, sentire un fruscio, vedere il campione, o forse solo immaginarlo perché chissà se là in mezzo era proprio lui. Sì, era Gimondi, era Merckx. Era il ciclismo. Poi tutto è cambiato: del resto era mezzo secolo fa. E se chi c’era riflette a tutto quello che c’era cinquant’anni fa e che è mutato non può che convenire che anche il ciclismo, e lo sport in generale, dovevano farlo. Ci fu l’uomo della transizione dalla campagna all’informatica, quell’ora sublime di Francesco Moser; ci furono i campioni del ciclismo “drogato”, i più grandi, i più misteriosi, le storie e storiacce mai del tutto chiarite. E il ciclismo, pure se la bici “a pedalata assistita” pendeva piede in città sempre più disperatamente alla ricerca di un traffico possibile, entrava in un cono d’ombra. Probabilmente anche per questo i campioni di una volta, i “duri e puri” come Felice Gimondi sono rimasti nel cuore e nella fantasia, social e no, di tutti, dal presidente Mattarella al meno “influencer” dei “followers”. Non ce n’è molti di così vincenti ed anche di così capaci di ragionare sulle proprie sconfitte: «Ho capito molto tempo dopo perché perdevo da Merckx: era più forte», ha detto una volta l’onesto Gimondi.
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