Addio a Felice Gimondi, signore dei tre giri

Addio a Felice Gimondi, signore dei tre giri
di Piero Mei
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Sabato 17 Agosto 2019, 12:27 - Ultimo aggiornamento: 21:12

Felice Gimondi, il campione che scalò ogni montagna, spaccò ogni cronometro, vinse con la maglia di Fausto Coppi, quella biancoceleste della Bianchi, il mondo e il mondiale, domò i selci del pavé di Roubaix e i fiori di Sanremo, è morto a 76 anni, facendo un bagno in mare, in vacanza, a Giardini Naxos. E’ lì che un malore l’ha colto, lontanissimo dalla Bergamasca che amava, dov’era nato, cresciuto quasi intagliato nel legno, aveva vinto la sua prima gara da allievo nel 1960, una lontana corsa che si chiamava Bergamo Celana. Ne avrebbe vinte tante altre Felice. E’ tra i sette ciclisti che hanno vinto Tour, Giro e Vuelta.
 



E più ancora ne avrebbe vinte se non ci fosse stata la coincidenza di tempi che lo vide dover affrontare quel “Cannibale” (lo chiamavano così perché non lasciava agli avversari neppure le ossa né gli ossi) Eddy Merckx. Ma guai a definirlo “l’eterno secondo”: quello, semmai, fu Raymond Poulidor, il francese più amato di Zidane e Hinault che vincevano, giacché il popolo si schiera spesso dalla parte del “perdente” (tutti per Ettore, pochi per Achille, che oltretutto era dopato dal bagno nel fiume fattogli fare dalla madre reggendolo per il tallone). Dalla lunghissima sfida con Merckx, Felice Gimondi uscì a volte vincitore. Una su tutte e che per certi versi ha ancora dell’incredibile: la volata mondiale a Barcellona 1973, quando i due vennero allo sprint, e Merckx aveva pure l’aiuto (o forse no?) dell’altro razzo belga, Freddy Maertens. E la durata agonistica dell’italiano fu più lunga di quella del belga: forse anche perché a Felice Gimondi andava a genio soltanto la polenta e non le pozioni. Il Tour lo vinse da giovane: era il 1965 e non doveva neanche disputarlo.

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Poi un suo compagno di squadra, Battista Babimi, gregario come lui in soccorso del capitano Vittorio Adorni, dovette rinunciare e Gimondi venne convocato. Alla terza tappa era già in maglia gialla e l’indumento cambiò d’armadio un paio di notti o tre, ma Felice la riconquistò subito e la portò fin sotto l’Arco di Trionfo, che già aveva “visitato” l’anno prima, quando aveva vinto il Tour de l’Avenir, la “grande boucle” riservata ai dilettanti. Il suo paese natio era Sedrina; lì pedalò le sue prime volte, anche quando da adolescente sostituiva nelle consegne la mamma postina nei giorni in cui la signora non poteva andare al lavoro. 
LA SIGNORILITÀ
La sua cifra era la signorilità: il giorno che al Giro d’Italia (2 giugno 1969) Merckx venne fermato per doping, episodio mai del tutto chiarito, Gimondi avrebbe dovuto indossare la maglia rosa: era secondo in classifica ed Eddy primo. Ma Felice rifiutò per un giorno: sapeva che quell’insegna era del Cannibale. Merckx, nel ’76, quando Gimondi vinse, a 34 anni, il suo terzo Giro d’Italia, era nel gruppo, staccato in classifica. «Piantala, Eddy, gli dicevano, a che ti serve un ottavo posto?». «Mi serve ad onorare Felice, perché sappia che ha battuto Merckx». Due anni dopo, Gimondi era ancora al Giro (ha il record di podi nella corsa rosa: 9) ma per guidare dalla sua bici alla vittoria il belga De Muynch, suo compagno di squadra: ne pagò le spese, quella volta, Francesco Moser. Del resto diceva Gimondi «puoi essere utile anche arrivando secondo o quinto, purché tu ce la metta tutta». Bisogna dire che Gimondi ce la mise sempre tutta, e se il più delle volte Merckx aveva qualcosa in più, questo si doveva solo al succedersi delle lune nel calendario che li aveva messi l’un contro l’altro. Ma anche l’uno al fianco dell’altro: perché i campioni del ciclismo si danno battaglia su ogni tipo di strada, però alla fine si rispettano e forse diventano perfino amici. Fu così per Coppi e Bartali, fu così per Merckx e Gimondi, fu così per quel ciclismo faticoso ed eroico di certi anni d’Italia, gli anni del dopoguerra per Fuasto e Gino, gli anni Settanta per Eddy e Felice. Che se n’è andato all’improvviso, lui, eroe della fatica, prendendo un bagno di mare. Addio, Felice.
 

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