Deborah Compagnoni: «La Goggia non deve aver paura di essere normale»

foto ufficio stampa
di Vincenzo Martucci
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Giovedì 10 Febbraio 2022, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 06:09

Deborah Compagnoni, tre ori in tre Olimpiadi, tre Mondiali, per che cosa vorrebbe essere ricordata?
«I risultati sono lì, e si vedono. Per me è più importante quello che si è al momento, non si vive del passato, si usa per costruire e andare avanti».
 

Di che cosa è più fiera?
«Di aver dato l’esempio a chi mi ha seguita, di aver lasciato un bel ricordo al di là della carriera di sciatrice professionista. A distanza di anni, ancora mi fermano dei tifosi da tutta Italia anche del Sud e delle isole che si ricordano quelle gare e quegli infortuni. Magari, ho insegnato ai giovani che si fanno male a recuperare e a diventare più forti di prima».
Nello sci gli infortuni sono frequenti.
«Purtroppo sono anche in aumento, specialmente nelle donne, non so se perché è aumentata la velocità delle condizioni, cioè delle piste, o per i materiali, le gare sono sempre più impegnative e i muscoli, pur più forti ed allenati, non riescono a sostenere adeguatamente le articolazioni, soprattutto le ginocchia».
La storia della Compagnoni è vicina alla Goggia, ma lei è più vicina alla Brignone?
«Conosco meglio Federica, che mi somiglia come carattere e per la sciata più morbida, Sofia è aggressiva, molto forte, più focalizzata su se stessa».
Oggi si sente una pioniera dello sci alpino italiano al femminile?
«Mi sento una pioniera del movimento dello sci alpino perché, guardando le mie gare alla tv, anche la gente che non aveva mai messo ai piedi gli sci scopriva il nostro sport. Non posso essere l’idolo di ragazze che quando sciavo io non erano nate».
Tutti parlavano di Deborah Compagnoni… 
«Assieme alla mia manager, Giulia Mancini, abbiamo cercato di valorizzare la mia immagine raccontando anche altri aspetti dell’atleta che non era più un casco che veniva giù sulla pista e non sapevi chi era: facevo tante interviste, presenze in tv e pubblicità, iniziative sociali, proprio per far conoscere anche la donna oltre all’atleta… E allora non c’erano i social. Anche se io ero timida e riservata e tale sono rimasta: ho una natura semplice che mi viene dalla montagna dove sono nata e dall’educazione che ho ricevuto».
Lei è stata un’eroina femminista.
«No. A 16 anni, quando sono arrivata in nazionale c’erano differenze fra i due settori, anche di budget. Poi dai primi anni ‘90 il generale Valentino, da presidente FIS, ha pareggiato i premi e ha dato più impulso al settore. Non è stato merito solo mio, c’era anche Isolde Kostner, la squadra femminile andava bene. E i gruppi sportivi militari cominciarono ad arruolare anche le donne…».
 

Quando guarda le gare olimpiche di oggi alla tv si rivede anche lei lì?
«Magari mi rivedo nell’ultimo oro a Nagano, quando ero più matura e consapevole. In generale mi compenetro nella felicità di quando guardano il tempo sul tabellone a fine gara e nella disperazione quando escono o si fanno male. Capisco benissimo quei momenti».
Una parola a Sofia Goggia che, da novella Compagnoni, si rituffa in pista dopo l’ennesimo infortunio.
«Nessuno la costringe a gareggiare e quanto meno a vincere: se non se la sente, sa bene che rischi ci sono nella libera. Non è un gioco. Non deve forzare troppo. Né temere di mostrarsi più umana, non è una macchina».
Deborah Compagnoni è la madrina dell’Olimpiade e Paralimpiade 2026.
«Questa che torna sulle Alpi e in Italia è una sfida molto stimolante che ho nel cuore perché Cortina è in Veneto dove vivo, Bormio in Lombardia, e io sano nata in Valtellina.

Sarà una Olimpiade che si adatterà al territorio e non il contrario, e darà estrema attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale, un’Olimpiade di tutti, alla portata di tutti. Con la Paralimpiade che sarà emozionante come sempre, con ragazzi coraggiosi che sfidano ogni giorno i loro limiti nella vita quotidiana attraverso lo sport».

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