De Carolis torna sul ring: «Roma, mi sei mancata. Dai social si ricavi utilità, non pugili»

Giovanni De Carolis
di Giacomo Rossetti
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Venerdì 1 Ottobre 2021, 21:28

Grandi trionfi, qualche caduta dolorosa, ma lui - per dirla alla Vasco – è ancora qua: Giovanni De Carolis torna a casa sua. Il trentasettenne supermedio romano (record 28-10-1), laureatosi campione del mondo WBA nel 2016, combatterà sabato sera contro Ignazio Crivello (7-8-1) allo Stadio delle Tre Torri (ore 21.30). Giovanni è un veterano, uno che ha calcato ring ucraini, tedeschi, australiani e inglesi, ma che nel suo cuore riserva sempre un posto speciale alla sua città. E’ a Roma che è nato, è alla Team Boxe Roma XI della Montagnola che è stato forgiato.

Torna a combattere nella Capitale dopo più di due anni: che sensazioni ha?

“E’ sempre un’emozione enorme e al tempo stesso una responsabilità, che può dare parecchia forza. Ho combattuto tanto all’estero, ma farlo nella mia città resta unico. E poi ci sarà il pubblico a tifarmi: lo scorso maggio a Manchester il silenzio era assordante”.

A quali luoghi della Capitale è più affezionato?

“Da ragazzo con la mia comitiva ho passato bellissime serate tra Campo de’ Fiori e Trastevere. Sono legato anche all'EUR e in particolare al Luneur: me lo ricordo pieno di ragazzi”.

Dopo diciannove anni, la Team Boxe Roma XI resta il suo faro.

“E’ una casa, un luogo semplice e pieno di passione. I miei maestri Italo Mattioli e Luigi Ascani sono stati figure fondamentali per la mia vita e la mia carriera”.

Avrebbe potuto fare il calciatore, però...

“Prima di passare professionista nella boxe, ho giocato per anni. Ero difensore centrale nell’Almas Roma: non avevo bei piedi, ma sapevo sfruttare il fisico”.

Gli youtuber prestati al pugilato sono un bene o un male per la nobile arte?

“E’ una questione delicata: se un ragazzo dotato di un po’ di creatività attira un grande pubblico, dobbiamo riflettere sui pugili veri. Anche loro hanno storie da raccontare, ma non ci si soffermano quanto viene ‘imposto’ ora.

Dai social dovremmo ricavare utilità: è grazie a Instagram che oggi in Italia la gente sa quando c’è un incontro”.

C’è una tendenza attuale che non sopporta?

“Detesto il trash talking, gli arroganti, la volgarità usata per attirare un certo tipo di pubblico, come fa Adrien Broner. Il face to face tra Joshua e Usyk, quello sì che è stile e sportività”.

L’emancipazione economica dei pugili italiani da cosa passa?

“All’estero siamo visti come atleti di buon livello che costano poco, da chiamare per far crescere gente dal valore più alto. Non andrebbe così se ci fossero delle regole che vietassero match con borse troppo basse. Ma molti pugili non hanno un manager e si accontentano di pochi soldi. E anche quando arrivano offerte più ricche per match difficili all’estero, un italiano viene pagato meno di un tedesco”.

Come può cambiare la situazione?

“E’ fondamentale aumentare la visibilità. In Inghilterra e negli USA i pugili di valore hanno accordi con manager, che a loro volta si accordano con broadcast per organizzare un certo numero di eventi l’anno. E qui torniamo a parlare di social: un pugile con parecchi follower è appetito dalle tv, perché porta più spettatori”.

Cosa ne pensa di vecchie glorie come Evander Holyfield che tornano sul ring rischiando di farsi male?

“E’ un modo triste che le piattaforme hanno per vendere. L’ex campione risale sul quadrato un po’ per certi stimoli che non passano mai, un po’ per il dio denaro. E’ difficile resistere alla tentazione, bisognerebbe essere nei loro panni”.

Come si rilassa prima di un match?

“Vado alla ricerca della calma prima della tempesta. Ripasso la strategia per l’incontro, sto con i miei figli, evito la frenesia e leggo. Ho apprezzato ‘L’enigma di Einstein’: teorie sull’universo, rapporto tra Dio e scienza... Allontana la tensione”.

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