Rettore, come si può definire la vostra missione per conto del Coni?
«Stiamo analizzando le dinamiche di più di 300 diversi sport, per dare delle linee guida più dettagliate possibile con una tabella di criticità sulla base di dinamica, distanza e intensità delle diverse attività sportive».
Qual è l’obiettivo del vostro studio?
«Cerchiamo di calcolare i rischi concreti di contrarre il virus in base al tipo di sport. Siccome la propagazione avviene tramite respiro, è evidente che gli atleti corrano un rischio molto più elevato delle persone normali. L’altro elemento critico è il contatto; due sport molto simili come rugby e football americano hanno diversi coefficienti perché le protezioni del football (casco e visiera) limitano il contagio aereo. Lo squash è ad alto rischio mentre il tennis (singolo) garantisce le distanze di sicurezza».
Come si coniuga il distanziamento sociale con lo sport?
«In movimento bisogna fare ancora più attenzione perché cambiano i riferimenti: se due persone fanno jogging uno dietro l’altro, anche a distanza di sicurezza, chi segue può entrare nell’esalazione di chi precede. Un po’ come un gruppo di ciclisti che procede in fila indiana: chi è dietro corre più rischi di chi è in testa».
Che conseguenze ha avuto lo stop delle attività sportive?
«Lo sport è un elemento fondamentale, lo stop va ad inficiare la salute. Noi non stiamo lavorando per far ripartire un campionato ma per garantire l’attività sportiva di massa, quella che coinvolge tutti».
Quali sport sono in pole position per la ripartenza?
«Tennis singolo, golf sicuramente. Il sumo, ad esempio, è complicato, ovviamente anche il pugilato. Poi ci sono sport molto complessi, in cui l’unica contromisura è il controllo prima delle partite. Richiedono costi e dinamiche specifiche, e possono diventare un lusso».
Sembra la descrizione perfetta del calcio.
«Preferisco non parlare di calcio, ma è chiaro che ci sono diverse componenti in gioco. Non credo che di fronte a grandi interessi i costi per i controlli possano essere un problema. Ma per abbassare i rischi il tampone devono farlo tutti, se la squadra è tutta negativa allora si può giocare. I positivi non possono giocare per nessun motivo, e tra l’altro il virus ha una persistenza lunga, ci vogliono settimane per eliminarlo. Lo sport di massa, però, deve ragionare sull’autosupporto perché chiaramente non può gestire i costi dell’agonismo».
In Belgio hanno proposto di tornare a giocare a calcio con le mascherine.
«Non si può escludere, sarebbe fattibile se si riuscisse a sviluppare una mascherina efficace ma in grado di permettere una respirazione adeguata».
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