Cayard: «Belle vele e coraggio, Luna Rossa mi piace»

Luna Rossa Prada Pirelli. Credit COR36 /Studio Borlenghi
di Francesca Lodigiani
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Giovedì 11 Febbraio 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 18:37

Paul Cayard, 61 anni meravigliosamente portati, segno zodiacale toro, sportivo di cultura velica rinascimentale, nel senso che spazia dalla Star, la regina delle Classi Olimpiche (un titolo mondiale e un quinto posto ai Giochi di Atene 2004), all’America’s Cup, alla quale si dedica per 30 anni, a due Giri del Mondo a tappe, la famosa Whitbread, poi Volvo Ocean Race, che vince al primo colpo su EF Language nel 96, alla One Ton Cup, che vince nel 1989 come tattico del Brava di Pasquale Landolfi con Francesco De Angelis al timone,all’Admiral’s Cup, che vince sempre con Brava, nel 95 a Cowes nell’isola di Wight,

Senza contare i successi sui Maxi e altri scafi in giro per il mondo. Il ragazzo al quale Raul Gardini affida quando ha solo 29 anni la gestione della sua campagna di Coppa America. Non un gioco, ma all’altezza delle doti manageriali che in lui vede “Raùl”, come ancora  oggi pronuncia il suo nome Cayard.  “Paolino Cayardo” per i  tifosi italiani delle dirette notturne di Telemontecarlo da San Diego, telecronista Paolo Cecinelli insieme a un irrefrenabile,  incensurabile Cino Ricci. 

Grazie a Zoom entriamo nella sua casa con vista sulla baia di San Francisco, dove da otto anni è tornato a vivere, alla vigilia della Prada Cup, la già Louis Vuitton Cup che al timone di America One  21 anni fa perse per 4 a 5 contro Luna Rossa “Silver Bullett” a conclusione di quella che ancora oggi è considerato il più bel match della storia della Coppa America. Paul vuole parlare italiano “per fare un po’ di esercizio” visto che a causa della Pandemia manca da un po’ dall’Italia. Italiano ineccepibile anche nelle sfumature.  

Cosa rappresenta l’Italia nella vita di Paul Cayard?

«Come per tutti la bellezza. Guardi Luna Rossa e lo vedi che è una barca italiana, è “goodlooking”, esteticamente armonica, perfetta, la più bella. In più io ho avuto la fortuna di conoscere  e amare l’Italia da dentro. Mia figlia Alessandra è nata nel 90 a Milano, parlo italiano. Per parte di padre ho anche la cittadinanza francese, ma mi sento molto italiano».

In America’s Cup dal 1983 al 2013: i ricordi top?

«Sicuramente la mia prima campagna nel 1983  con Tom Blackaller su Defender a Newport  per le selezioni tra defender che allora il New York Yacht Club organizzava per scegliere il più forte. Insieme a Rod Davis e Mike Toppa. Ero il più giovane e non ero pagato. A bordo di giorno, nei locali la sera. Gran life style là. Fu scelto Liberty di Dennis Conner che perse da Australia II. Già nel 1992 tutto era diverso, era diventata una professione. Ginnastica alle 7 e solo una sera libera.

L’esperienza del Moro di Venezia. Per il risultato, la vittoria della Louis Vuitton Cup,  Per il rapporto con Raùl. Una persona più grande che ti fa da mentore, ti affida i suoi Maxi a 26 anni, ti porta con sé e ti mette in mano a 29 la sua sfida di Coppa America. Nella mia vita, una grande opportunità di crescita.

Raul Gardini e Paul Cayard

La richiesta di Dennis Conner, il più grande timoniere del mondo, di timonare Stars & Stripes nel 95, quando poi ha vinto New Zealand con Peter Blake  e Russell Coutts.

La finale della Louis Vuitton Cup contro Luna Rossa nel 2000: 9 gare combattute con continui colpi di scena».

 

Quanti vostri spinnaker verdi esplosi in quelle regate ?

«Non ho tenuto il conto, ma 8 è un numero che mi suona».

Terry Hutchinson, skipper di American Magic, era il Suo randista?

«Si. Quell’incidente è stato una combinazione di sfortuna - la raffica che arriva – e di mancata gestione del momento. La vera domanda è se Dean Barker fosse il timoniere giusto. Lui è il più giovane della mia generazione e non è un grande campione, come lo è invece Goodison, il randista, che ha vinto 3 mondiali. Come americano, sono però orgoglioso di come Terry si è comportato dopo l’incidente?».

Ogni regata è costata loro $10 milioni: torneranno?

«La vedo difficile dopo aver gettato $150 milioni dalla finestra».  

Che fine hanno fatto i baffi, gli italiani c’erano affezionati?

«Li ho tagliati nel 2011, su suggerimento della mia fidanzata di allora e mi sono trovato bene, mi piace come sono. Era una cosa da  anni 80/90».

                

La 36^ America’s Cup e gli AC 75: che opinione ?

«Avevo dubbi, temevo barche con differenze di velocità e quindi regate non interessanti.

Mi hanno impressionato a dicembre, match competitivi,  e dopo sono migliorate ancora. Bene la partenza di bolina e un po’ di match racing. Peccato poche barche e poche regate».  

Cosa pensa di Luna Rossa?

«La barca sembra buona, all round, migliorata molto con vento,  e avendo una serie lunga davanti, al meglio di 13 prove, potranno esserci condizioni differenti. Hanno belle vele, la randa più grassa. Loro sono bravi. Mi piace il coraggio della scelta di due timonieri che non si spostano da una parte all’altra. Evitare il momento di transizione degli altri è una cosa potente. Gli mancava qualcosa per unire le due visioni di destra e sinistra, e ora col randista che diventa strategist (Pietro Sibello ndr) hanno creato il collegamento. Giles Scott, (il tattico di Ben Ainslie ndr) guarda sempre di qua e di là della randa. Checco e Jimmy il gioco del match racing lo sanno fare bene quanto Ben e Giles e meglio del timoniere di Emirates New Zealand  Peter Burling che non ha mai fatto  il circuito top di match race. Jimmy dopo le regate di Natale è tornato se stesso come timoniere e Checco è bravissimo. Bravo come umano e come velista, intenso, ma non troppo, il giusto. Mi fa sorridere che tutti italiani, a bordo parlino tutti in inglese per Jimmy, uno solo».

Che idea ha di INEOS Team UK?

«Bravissimi velisti che sanno dare il meglio quando conta.  Anche Jimmy ha quella cosa lì. Nella sfida tra loro  bisognerà capire la velocità delle rispettive barche. Se è equivalente, sarà lotta tra pari e nessuno può prevedere il risultato».   

Ineos Team UK e Emirates Team New Zealand hanno regatato meno di Luna Rossa, quanto pesa?

«Per Luna Rossa aver fatto le semifinali è un vantaggio sia psicologico, perché si sente più forte, sia per lo sviluppo, perché  per la macchina che sta dietro alla barca  è un bene avere scadenza ravvicinate da rispettare per scelte e miglioramento. New Zealand è una macchina lubrificata dalle tante Coppe e sono master nel simulatore. Se hanno la velocità, non hanno problemi, altrimenti sì perché il loro timoniere Burling è un incredibile talento, ma non sa perché fa le cose, mentre Jimmy e Checco, e Ben e Giles, sono ben testati in questo tipo di gara».

Gli uomini che per Lei hanno contato di più nella vela ?

«Tom Blackaller, mio padre di barca. Mio papà, scenografo all’Opera di San Francisco non andava a vela. Tom, un grande campione, mi ha notato tra i ragazzini del S. Francis Yacht Club  che andavano a vela. A 16 anni mi ha fatto fare il prodiere sulla sua Star. A 18 mi ha portato in Coppa America. Gli altri sono tutti italiani. Raul Gardini, mio mentore e di più. Pasquale Landolfi, l’armatore dei Brava, grande amico  e tifoso che voleva il bene più per Paul Cayard, che per sé. Paolo Cecinelli, giornalista di LA7, che come giornalista guardava  sempre con occhio  positivo il  Moro e nel 2007 mi ha dato l’opportunità di fare l’opinionista per LA 7 permettendomi di riconnettermi con l’Italia.  Leonardo Ferragamo, amico da 20 anni del quale ammiro anche la capacità con cui ha saputo coniugare per gli  Swan, l’evoluzione con la conservazione».

I ricordi più speciali  delle Sue avventure veliche?

«Le due volte che ho girato Capo Horn,  nel 98 con EF Language e nel 2006 con Pirates of the Carribean. Per il posto, ma soprattutto perché arrivando lì, hai vissuto tanto, sei sopravvissuto. La vittoria del Mondiale Star in Argentina nell’88.  La vittoria del Mondiale Maxi col Moro e Gardini a San Francisco nell’autunno, sempre dell’88, dove  si decise anche di lanciare la sfida per l’America’s Cup». 

Cosa fa oggi Paul Cayard, gli piace ancora andare a vela?

«Intanto mi piace sempre correre in Star. Per il resto, avevo programmato sette regate con Ferragamo nel 2020, ma sono saltate per il Covid, Anzi è la prima volta dagli anni 80 che sto un anno senza venire in Europa. Mi piace fare regate. Spero di tornare a Capri e a Porto Cervo. Gli ultimi anni, fino a gennaio, ho fatto, senza  compenso, il CEO del S. Francis Yacht Club che  tanto mi ha dato e al quale mi sembrava giusto restituire. E’ stata una sfida  impegnativa come la Coppa America. Negli ultimi 6 mesi con Mckinsey abbiamo realizzato uno studio per “riparare” la squadra olimpica USA  di vela, con l’obiettivo di portarla sul podio ai Giochi di Los Angeles del 2028. La mia nuova sfida».

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