Ale Mazzara: «Io, skater azzurro ma con l'anima californiana»

Ale Mazzara: «Io, skater azzurro ma con l'anima californiana»
di Gianluca Cordella
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Giovedì 3 Giugno 2021, 07:30

Sulla sua pagina Instagram, per definirsi, usa una parola sola: “artista”. Ed effettivamente le foto delle sue evoluzioni sulle rampe se non sono opere d’arte – nel senso più moderno dell’espressione – poco ci manca. Alessandro Mazzara, Ale per tutti, è in realtà uno skater. Ma non uno qualunque. A soli 17 anni farà parte della spedizione italiana a Tokyo e sarà dunque membro di quella élite internazionale di atleti che avrà il compito di celebrare il battesimo olimpico dello skateboarding. A contendersi il podio del park, la sua specialità fatta di rampe e salti da brividi, saranno in tutto in 20. Tra i quali Ale si è guadagnato il diritto di stare a suon di risultati: l’ultimo, quello decisivo per il ranking, la semifinale al Dew Tour di Des Moines, in Iowa. Non male per un ragazzo che a 13 anni già duellava alla pari con i Pro, al punto da guadagnarsi l’ingresso nella scuderia Red Bull, e che ora, da artista, sogna una piccola scultura di un metallo prezioso da mettersi al collo tra poco più di un mese.

Ma com’è cominciato tutto?

«Per caso.

Avevo 7 anni e papà portò me e mio fratello allo skatepark di Cinecittà. Chiesi a un ragazzo che si stava allenando di farmi provare il suo skate. Da lì non ho più smesso».

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Quando ha capito che da semplice passione poteva diventare altro?

«Lo skate per me è ancora passione, prima di tutto. Poi adesso, anche grazie alle Olimpiadi, proverò a trasformarlo nella mia professione».

Però ci sarà stato un momento in cui dall’attività libera e ribelle è passato alla disciplina degli allenamenti da sport “vero”. È cambiato il suo approccio?

«È tutto il mondo dello skate che sta cambiando: dopo l’entrata nel programma olimpico è diventato uno sport a tutti gli effetti, ma lo spirito resta quello delle origini. Io mi alleno da un po’ di anni per essere in forma, ma per migliorare il segreto è e rimane uno solo: skateare il più possibile».

A proposito dello spirito delle origini: i puristi come stanno vivendo il “mainstream” olimpico?

«C’è una frangia di skater cui le Olimpiadi non vanno giù, un po’ come per la breakdance. Sono discipline nate per strada, si può fare fatica a immaginarle in un contesto come i Giochi. Ma io credo che sia una grande opportunità. Da quando si parla delle Olimpiadi è triplicato il numero dei praticanti e stanno nascendo skatepark nuovi».

Com’è la vita dello skater in Italia?

«Difficile, me ne rendo conto soprattutto adesso che sono in California. Da noi ci sono poche strutture all’avanguardia e soprattutto non c’è la “scena”. Qui ci sono tantissimi skatepark e il più sconosciuto dei ragazzi che ci trovi ha comunque un livello altissimo. Allenandoti sempre con skater di livello Pro, aumenta anche il tuo di livello. Quando sono qui cresco giorno dopo giorno».

Qualcosa, almeno a Roma, si muove. In questi giorni ci sono anche i Mondiali.

«Le Olimpiadi stanno facendo da traino. Lo skatepark di Ostia è enorme, i Mondiali al Foro Italico sono un’ottima notizia. Spero sia solo l’inizio».

Anni fa aveva detto di sognare i Giochi, ora ci andrà.

«E ora che ci sono arrivato, cosa non scontata dal momento che vi partecipano i primi 20 al mondo, il sogno è vincerle».

Lei è ancora molto giovane. Come se la immagina una carriera da skater? Ancora sulle rampe a 30 anni?

«Il park è molto meno logorante dello street. Conosco molte persone che lo praticano ancora a 50 anni. E poi finita la carriera vera e propria, si può continuare a lavorare in questo mondo in altre vesti, magari investendo su un proprio brand».

Ha le idee chiare. Allora mi dica cos’è lo skate...

«Il mio mondo. Quello che voglio fare per tutta la vita»

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