IL PADRE
Seppe dire di no, poco più che ventenne, pure a Frank Sinatra, sul set del film Il colonnello Von Ryan: «Frank mi chiamava la signora Von Ryan, era molto cortese e, a quel tempo, aveva voglia di sposarsi. Lo ammiravo, ma ascoltavo i Beatles. I suoi occhi magnetici non mi hanno fatto innamorare», è il racconto di una donna che è stata segnata da un papà impenitente playboy: «Io sono figlia di una nonna e di una mamma. Papà, che si dice fosse discendente del Passator Cortese, era un Robin Hood romagnolo che si chiamava Stefano Pelloni troppo distratto dalle donne e dalle Mille miglia. Eppure da ragazza mi tormentava, preoccupato che perdessi la verginità». Si svela sorridendo la riservatissima Raffaella Carrà, nostra signora della tv, fresca settantacinquenne (li ha compiuti un mese fa), ospite al Festival dei Due Mondi negli Incontri di Paolo Mieli. Rammenta le estati a Bellaria, sulla costa romagnola, «dove il pomeriggio cantavano Gianni Morandi e Gianni Pettenati». Sostiene che buona parte della sua storia professionale è nata per caso: «Per caso feci il primo film a 8 anni, Tormento del passato di Mario Bonnard, dopo un incontro fortuito a casa di amici con il produttore Goffredo Lombardo».
Ancora fu un'amica attrice della mamma a consigliarle di iscriversi al Centro sperimentale. Casuale l'incontro con il teatro. «Ma sia al cinema che in scena mi annoiavo terribilmente» confessa. E rivela: «Ho scoperto quale sarebbe stato il mio futuro a Parigi, andando a vedere nel 68 Hair che poi ho rivisto otto volte: la commedia musicale». Ha fatto Ciao Rudy con Mastroianni, ma poi è arrivata la folgorazione, la tv, con Io, Agata e tu. «Un giorno, un dirigente viene da me e mi propone per Canzonissima: lei scende dalle scale bendata per tutte le puntate, poi nell'ultima si toglie la benda e dà i numeri finali della lotteria. Gli ho risposto che una cosa così la poteva fare chiunque». E oggi? Raffa gioca a burraco, si stupisce che a Madrid una sua gigantografia abbia campeggiato al gay pride, si lascia celebrare con leggerezza (una mostra a Roma ha messo in vetrina 40 costumi televisivi famosi), ricorda con affetto Boncompagni e Japino («entrambi sono il contrario di mio padre»), sfodera l'amor proprio: «Un pezzetto dell'Oscar vinto da La grande bellezza di Sorrentino, tutto sommato è anche mio. Eppure A far l'amore comincia tu non volevo darla alla Universal. Mi ha convinto il mio avvocato. Poi, quando sono andata a vedere il film, sono rimasta a bocca aperta: i primi quindici, pazzeschi minuti erano tutti con la mia canzone».
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