La crisi dei talk show, troppo lontani dai problemi reali, ma non ancora finiti

La crisi dei talk show, troppo lontani dai problemi reali, ma non ancora finiti
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Venerdì 17 Aprile 2015, 21:50 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 22:06
I talk show sono ormai “il nulla”, perché parlano del nulla? Solo chiacchiere tra politici e per politici nel più stretto politichese, che alla gente non interessano, avendo ben altri problemi da risolvere?



Andrea Vianello (direttore di Rai 3), Pierluigi Pardo (conduttore della trasmissione di Italia 1 “Tiki-Taka”), Mia Ceran (della redazione di “Millenium” di Rai 3) e la scrittrice e giornalista Francesca Barra ne hanno discusso al Festival del giornalismo di Perugia, nel corso di un evento dedicato alla (presunta) morte dei talk, un genere a cui gli spettatori italiani sono stati fin troppo affezionati per anni e che ultimamente mostra segni di cedimento.



E, questo, con buona pace dei conduttori, che continuano a farli e a promuoverli, smentendone categoricamente la crisi. «Siccome ne frequento tanti, non posso dire che siano morti» chiarisce subito Francesca Barra, sgombrando il campo da un primo dubbio; poi aggiunge: «Se fanno pochi ascolti, si attribuisce subito la colpa al conduttore. E la politica, che comunica attraverso un linguaggio televisivo, viene comunque banalizzata. Ho poi riscontrato, essendoci anche talk non politici, che parlano di cronaca e vicende quotidiane, che è proprio in quest’ultimo tipo di trasmissioni che si fa politica di più e meglio».



Viene quindi da pensare che, in realtà, la tanto sbandierata crisi del dibattito politico non sia poi così vera. «In questo momento storico particolare, di difficoltà economica, alla tv conviene fare i talk, poiché costano poco e i partecipanti vengono gratis» spiega il direttore di Rai 3, Andrea Vianello. «È un genere nobilissimo e democratico, in quanto fa circolare opinioni. Ai tempi della forte contrapposizione berlusconiani/antiberlusconiani, era ancor più facile allestirne uno, il contesto politico favoriva lo scontro. Oggi però possiamo dire che la tv ne ha fatti troppi, il paese si è stancato. Ma questo non deve significare non farne più».



Sul fatto che i tempi d’oro del talk coincidano grossomodo col cosiddetto “ventennio berlusconiano”, Mia Ceran non ha dubbi: «Oggi manca lo show, cosa in cui Berlusconi è stato imbattibile» e cita a esempio la famosa spolverata della sedia di Travaglio che l’ex Cavaliere fece ad Annozero, durante l’ultima campagna elettorale. «Se fai un talk tecnico – aggiunge Pierluigi Pardo – ti seguono in pochi, quelli più competenti. Il problema è che nei talk di oggi c’è troppa politica, sono trasmissioni autoreferenziali; negli altri paesi non si fanno programmi come i nostri».



Torna allora al centro della questione l’importanza di diversificare, di realizzare approfondimenti e inchieste che tocchino i problemi veri della gente: «Quando vado sul campo, la prima cosa che mi chiedono è di non dimenticarmi di loro» racconta Barra, che nella sua carriera si è anche occupata di mafia. Ma per Andrea Vianello ci troviamo di fronte a questa situazione a causa di un vero e proprio problema culturale, che si ripercuote anche sui giornali: «Trovare paginate di retroscena, voci, dichiarazioni di politici è assurdo, bisogna capire che i lettori (e i cittadini) vogliono altro, si sono stancati di questo enorme gossip politico-istituzionale».



«Ciò che colpisce di più – conclude Pardo – è la differenza tra il tipo di programma a cui sono abituato io – in cui si parla di calcio – e i talk politici: quanto più i calciatori non vogliono parlare, li devi pregare per farli venire, spesso non possono perché le società impongono i silenzi stampa, tanto più i politici sono loquaci, non aspettano che li inviti e quasi ti pregano di chiamarli».