Wellber al Teatro Massimo: «Il mio Parsifal, sarà “Sparsifal”, spogliato da incrostazioni»

Il Maestro israeliano Omer Meir Wellber, 38 anni
di Simona Antonucci
5 Minuti di Lettura
Sabato 25 Gennaio 2020, 21:02 - Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 12:52

«Il nostro Parsifal sarà uno “Sparsifal”. Spogliato dalle incrostazioni che si sono sedimentate sopra la sua musica. Wagner era un compositore grandissimo, ma un filosofo di bassissimo livello. E detesto le sette che continuano a considerarlo un guru. Le sue opere non sono un feticcio, ma semplicemente splendida musica».

Omer Meir Wellber, 38 anni, sceglie il capolavoro-testamento di Wagner per inaugurare, oggi, la stagione del Massimo di Palermo e la sua collaborazione con il teatro dove sarà direttore musicale per i prossimi cinque anni. Nato a Beersheva, una città alle porte del deserto del Negev, ha lasciato Israele per seguire Barenboim che decise, dodici anni fa, di scommettere su lui, designandolo suo assistente prima a Dresda e poi al teatro La Scala di Milano.

Wellber ora collabora con le orchestre di tutto il mondo: dal 2018 è direttore ospite principale della Semperoper di Dresda, dal 2019 direttore principale della BBC Philharmonic di Manchester e da un mese ha preso casa, oltre che a Milano, dove vive con la compagna, anche a Palermo. «Un luogo con una radicata apertura culturale e una straordinaria sensibilità. È qui che Wagner finì di comporre Parsifal e solo in questo teatro è possibile proporre lo spettacolo che abbiamo ideato con il regista Graham Vick, mio caro amico».

Sul palco, una scena che rimanda ai deserti, con cavalieri in divisa militare, coriste avvolte in una sorta di burqa e un cast internazionale di specialisti capitanato dal tenore Julian Hubbard nel ruolo del titolo. E insieme con lui, il soprano francese Catherine Hunold nelle vesti di Kundry, l’islandese Tómas Tómasson nella parte di Amfortas, il russo Alexei Tanovistsky in quella di Titurel, il canadese John Relyea come Gurnemanz e il basso-baritono tedesco Thomas Gazheli come Klingsor.

Parsifal manca da Palermo da 65 anni. Lei, però, sostiene che sia la città più adatta a questo Parsifal: perché?
«È un’opera complessa, piena di significati. Che possono prendere derive negative o positive. Ho voluto accanto a me Graham Vick perché mi fido ciecamente. La nostra lettura va oltre le sovrastrutture problematiche che vi si sono aggiunte. Non è una messa, ma una riflessione sul tema dell’identità. E in questa città, incrocio di umanità, di apertura alle diversità, credo, spero, che questo lavoro apra un dialogo».

L’impronta della regia di Vick?
«Non ci sarà leggenda e neanche la redentrice. Nessuna patina di finto spiritualismo, ma un impianto realistico, con la gente che c’è in strada, ferita da una profonda crisi d’identità. Del resto, oggi, lo siamo tutti».

E la sua interpretazione musicale?
«Suonerò quello che è scritto. Un approccio matematico. Chiedo all’orchestra di non emozionarsi. Solo se elaboriamo la partitura in modo asciutto, arriverà al pubblico un messaggio emozionante, che ognuno potrà accogliere a suo modo. Una chiave assai poco sacralizzata».

Dove non metterebbe ma in scena Parsifal?
«In Germania. Impossibile dimenticare che fosse l’opera preferita da Hitler».

In Israele?
«Nei lager si ascoltavano anche Schubert e Beethoven. Che vengono eseguiti. Comunque... Penso che solo quando Wagner verrà considerato un compositore e non un guru sarà possibile suonarlo lì».

Si possono scindere le due anime di un simbolo dell’antisemitismo?
«Wagner è morto sei anni prima della nascita di Hitler. La moglie Cosima e la moglie del figlio hanno creato quel mito e il business. Tra le due guerre erano in bancarotta. Tra il 1933 e il 1934 hanno messo a punto una scelta di puro opportunismo. Ma quella cosa lì rappresenta soltanto il 10 per cento della personalità di Wagner. Che, per carità, aveva un caratteraccio, era molto manipolatorio. Io mi trovo spesso in difficoltà. Ma voglio occuparmi dell’altra percentuale. Quella del compositore».

Dopo Wagner che cosa porterà a Palermo?
«Ho già bloccato tutte le prossime inaugurazioni. Dopo Parsifal, Onegin di Čajkovskij, Les vêpres siciliennes di Verdi. E poi Grand Macabre. Il tedesco, la lingua russa, un Verdi francese e un Ligeti italiano. Un omaggio a questa città, crocevia di culture e di lingue. Sto organizzando anche una stagione sinfonica e tournée con l’orchestra. Ma quello che mi sta molto a cuore è proseguire il progetto appena inaugurato a Capodanno. Un concerto cominciato con arie d’opera cui si sono aggiunti i musicisti delle comunità straniere che vivono a Palermo. Un gala speciale che avrà un seguito».

Le piace molto Palermo?
«C’è vita a qualsiasi ora. La gente ti accoglie, senza invadere la tua privacy. Trovo che sia un modo di convivere intelligente. Ed elegante. Il programma teatrale deve esserne lo specchio».

E Israele le piace?
«Abbiamo un governo problematico. E al momento non ho motivi di essere ottimista».

E lei piace a Israele?
«Ho scritto un romanzo. Che racconta la storia non eroica di un sopravvissuto alla Shoah. Non è un eroe. Ma un uomo passivo, traumatizzato che si lascia svenire nelle situazioni che non riesce ad affrontare. Un punto d’ombra non edificante che va contro la narrativa ufficiale. Verrà pubblicato in quattro Paesi. In Italia uscirà a settembre con Sellerio. In Israele non ha un editore». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA