Firenze, il Teatro della Pergola riapre con la prima nazionale di "The Dubliners" di Sepe

Il Teatro della Pergola a Firenze
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Venerdì 1 Ottobre 2021, 15:34

Il Teatro della Pergola, in pieno centro a  Firenze, riapre con la prima nazionale (fino al 14 ottobre) di The Dubliners di Giancarlo Sepe, con la Compagnia Teatro La Comunità e i Nuovi riuniti da un maestro della contaminazione dei generi. Sepe è il perfetto interprete del teatro come sintesi di tutte le arti e diviene per la Fondazione Teatro della Toscana, che produce The Dubliners, il riferimento fondamentale per un nuovo percorso artistico che coinvolge i giovani e che, nel superamento di generi e distinzioni, offre loro la possibilità di esplorare l’imprevedibile e di imparare a superare costantemente i propri limiti.

In una Pergola ridisegnata per l’occasione, va in scena l’ultimo dei racconti, The Dead (I Morti), e il dodicesimo, Ivy Day in the Committee Room (Il giorno dell’edera) dei quindici scritti da James Joyce agli inizi del Novecento sull’esistenza statica e alienata dei dublinesi di cui l’autore faceva parte. Spariscono le quinte e lo spettatore è immerso nella atmosfera grigia e fumosa di una Dublino in cui personaggi stanchi e sfiniti si trascinano nella vana speranza di trovare uno slancio, un sussulto di vita. È una collezione di epifanie, con una città che Joyce trasfigura in rivelazione di carattere religioso, per rendere manifesto ai suoi concittadini che essi si trovano al centro di una paralisi spirituale, corrotti e oppressi da regole inutili quanto crudeli.


Lo spettacolo, nelle precedenti edizioni del 2014 e 2015, ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico, in virtù dell’originale e potente rilettura di Joyce da parte di Giancarlo Sepe, la cui messinscena, ai confini tra il linguaggio teatrale e quello filmico, si compone attraverso immagini di intensa suggestione visiva.
L’anima della ricerca è proprio legata allo spazio scenico che ne condiziona ritmi e visioni. The Dubliners è una sorta di itinerario virtuoso che fa incontrare tutti i personaggi di Joyce come in una lunga panoramica, dove conosciamo le famose Epifanie dell’autore, che nella mestizia delle piccole storie di piccoli uomini, cava dall’apatia e dall’immobilità del quotidiano quella luce poetica che alimenta un popolo privo di qualunque stimolo e qualunque proiezione.

Joyce fugge da quella paralisi emotiva dei suoi concittadini, che nella serata dell’Epifania si celebra intorno a un’enorme tavola per festeggiarsi, ipocritamente, tra canti e balli.

Qui i morti, dice l’autore, sono più vivi dei vivi, loro hanno lottato fino all’ultimo. The Dubliners come drammaturgia è la frantumazione dei racconti, come fossero fotografati, oppure letti, oppure vissuti come ricordi familiari, le immagini di un rione periferico. La fuga, soluzione mai efficace, sarebbe l’unica via di salvezza una volta appurata l’impossibilità di migliorare la propria condizione. Parlo di fotografia perché è l’immagine del presente, quando la si scatta, ma senza futuro, un’espressione che non diventa né gesto, né parola, come l’idea rinunciataria della vita che hanno i dublinesi.

Le storie sono tenute insieme dalla comune idea della “morte in vita”: tutti i personaggi falliscono, sono frustrati, rinunciatari, delusi, indifferenti. Le immagini dello spettacolo evocano la paralisi morale, il decadimento, lo squallore e la desolazione. Ad alleviare questa miseria di vita interviene l’Epifania, un’improvvisa illuminazione o rivelazione della verità e dell’essenza della verità che lampeggia nella mente dei protagonisti, togliendoli dal loro stato di cecità. L’Epifania è uno stato di grazia che si crea all’improvviso davanti ai nostri occhi, un riflesso della luce, una sfumatura di colore, insomma uno stato di passione o di visione o di eccitazione intellettuale, una vera e propria attrazione che dura solo un momento, una sorta di estasi che sarà il successo di una vita grama e senza cose da ricordare.

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