Papaioannou a Torinodanza: «Transverse Orientation per tornare nudi e disorientati»

Transverse Orientation, di Dimitris Papaioannou fino al 26 a Torinodanza
di Simona Antonucci
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Sabato 25 Settembre 2021, 12:12

Un toro rubato alla mitologia domina la scena: consapevole di incarnare un immaginario secolare, si trascina recalcitrante verso il suo destino. Fasci di luci nitide rendono il palco una galleria d’arte contemporanea. I danzatori, opere in movimento: omini di Magritte e Venere in una conchiglia di plastica, massi ciclopici e un mare distopico, silenzi interrotti dalle musiche di Vivaldi che accompagnano corpi nudi impegnati in mille azioni, quotidiane, erotiche, ironiche.

 

Fonderie Limone di Moncalieri

«Sono un greco, è questa la mia eredità.

Studio i corpi, nudi, come artista e anche come voyeur». Dimitris Papaioannou, 57 anni, con le intemperanze dell’Egeo nello sguardo e nel vissuto, torna al festival  Torinodanza, curato da Anna Cremonini che ha dato vita a un'edizione superba, e conquista nuovamente il pubblico con la sua ultima e attesa creazione Transverse Orientation, in programma fino al 26 settembre alle Fonderie Limone di Moncalieri. E poi al Festival di Reggio Emilia e al Sadler’s di Londra. «Sì, è un titolo difficile da pronunciare e forse anche da capire. Disorienta? È quello che cerco. Siamo tutti schiavi del Gps che ci indica una direzione. Ma se impazzisse?».

Olimpiadi di Atene

Papaioannou che ha esordito come disegnatore e fumettista, è arrivato nel mondo della danza quasi per caso, grazie a Bob Wilson. È diventato famoso per aver curato le cerimonie delle Olimpiadi di Atene del 2004. Ed entrato nell’Olimpo dei grandi quando è stato chiamato dal Tanztheater Wuppertal fondato da Pina Bausch a firmare uno spettacolo con la compagnia della coreografa scomparsa. Dopo The Great Tamer nel 2017 (dove la Lezione di Anatomia di Rembrandt diventa pulp) e il debutto in prima mondiale di Ink nel pieno della pandemia, Papaioannou, regista e coreografo, creatore di un linguaggio scenico che intreccia il movimento con l’arte visiva, è tornato a Torino dove ha raccolto un nuovo e totale successo con sua la poetica visionaria ed estrema. Sul palco Damiano Ottavio Bigi, Šuka Horn, Jan Möllmer, Breanna O’Mara, Tina Papanikolaou, Łukasz Przytarski, Christos Strinopoulos e Michalis Theophanous, tutti interpreti eccellenti, selezionati dopo 500 audizioni.

Lei viene definito anche architetto, artista, regista: non è abbastanza la definizione di coreografo?

«Certo che sarebbe abbastanza. Se fossi un coreografo».

Da dove comincia a comporre, dalla testa, dal corpo?

«Credo dallo stomaco. Quando qualcosa non va è lo stomaco che mi mette in guardia. Comincio con tante suggestioni e poi taglio. Di solito resta il 30 per cento. Il 70 viene espulso».

Il titolo lo mette prima, dopo?

«Decide il mio collaboratore. Guarda le prove ed emette la sentenza. Transverse Orientation è un titolo che mi è piaciuto così tanto che ho cambiato lo show. È un termine scientifico, io ho conservato l’attrazione per la luce della luna, una bussola per secoli. Disorienta? Forse. Quello che mi attrae è la deviazione incontrollata».

Un’umanità che si perde e si spoglia: gli interpreti sono tutti nudi anche in questo spettacolo. Perché?

«Noi siamo nudi. La biancheria color carne o le calzamaglie trasparenti rappresentano un’interruzione insopportabile della figura. Un tempo le usavamo. Poi ho cominciato a provare lo stesso senso del ridicolo che ci assale nei musei quando siamo davanti a statue con i genitali coperti.  Del resto in arte, i nudi, gli studi sui corpi, sono sempre esistiti. Perché non dovrebbe essere così anche per la danza?».

Gioca con la sensualità?

«La sensualità non si alimenta soltanto di corpi nudi. Anche i materiali sono sensuali, nel modo in cui riflettono la luce, in cui si spezzano, producono rumore. L’acqua per esempio è l’emblema della sensualità: la meraviglia, la gravità, il suono, contengono tutta la fisicità dell’universo».

Come presenterebbe il suo spettacolo?

«Comincia tutto con una goccia da un rubinetto e si finisce nel mare. Un’evoluzione verso valori universali. Durante il cammino, uomini e donne delineano le loro personalità, forze della natura, maschili e femminili. Sono un maschio, di una generazione ormai superata, forse. E gioco con l’archetipo della forza maschile identificandola con un toro nero. Mi soffermo su quest’animale forte, selvaggio, che finisce per addomesticarsi. Ma quando la bestia viene piegata, decapitata, però, non puoi non osservare anche la sua bellezza».

E la femminilità come la rappresenta?

«Con l’acqua. Afrodite che nasce in acqua. Simbolo dell’amore. I tori sono sempre assetati. Sono gli opposti che si attirano, si combattono, si fondono e originano la vita. Ma non è, il mio, un ragionamento organizzato. O la riflessione di un saggio. Io compongo in modo disordinato e non inseguo significati, ma emozioni».

Un artista che crea anche su instagram: come si propone sui social?

«Con immagini della mia vita. Un diario artistico e umano. Posso distinguere la mia carriera dalla mia arte, ma non la mia vita dalla mia arte. Su instagram cerco di avvicinare un pubblico giovane o persone che non potrò mai incontrare o che non potranno mai vedere i miei spettacoli. Ora mi sto appassionando anche a Tik Tok».

Online anche i video dei suoi lavori, rimontati da lei. Una versione diversa?

«Quello che sto cercando di fare ora è controllare, verificare, essere l’autore del materiale del mio lavoro che gira online. Non credo che qualcosa che è nato dal vivo possa semplicemente essere trasferito in video. Ho sempre amato il cinema. Ora mi sono appassionato al montaggio che ti consente di ricreare soprattutto le emozioni».

Un artista e due linguaggi.

«Il palcoscenico ti impone dei limiti, che però accendono la fantasia. Ma non sono gli stessi del cinema. Da questa diversità sorgono infinite risposte»

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