Renata Tebaldi, cento anni fa la nascita: il teatro San Carlo ricorda la voce d'angelo

Renata Tebaldi, cento anni fa la nascita: il teatro San Carlo ricorda la voce d'angelo
di Donatella Longobardi
6 Minuti di Lettura
Venerdì 14 Gennaio 2022, 11:00

«Sì, mi hanno adorata veramente, la gente era così calda, il teatro magnifico, ogni volta che sono partita da Napoli ho sempre pianto guardando l'ultimo scorcio di mare». Così nel 1992 Renata Tebaldi, in una intervista a chi scrive, raccontava il suo affetto per la città e per il San Carlo, il teatro che l'aveva accolta mentre a Milano dominava la sua «rivale», Maria Callas. Il prossimo 1 febbraio compirebbe cent'anni, oggi a Parma il comitato per le celebrazioni «Tebaldi100», promosso dalla Renata Tebaldi Fondazione Museo di Busseto presieduto da Giovanna Colombo, presenterà un ricco calendario di eventi aperti da un concerto di Eleonora Buratto e Francesco Meli.

Al San Carlo è prevista una mostra al Memus: «Il mito del canto, lo stile di una diva», da metà maggio a metà giugno. Si punterà sulla donna Tebaldi, l'artista che ha lasciato il segno nel mondo della lirica internazionale tanto da guadagnarsi una copertina di «Time» e una stella sulla Walk of Fame a Hollywood. E che aveva trovato sotto il Vesuvio la patria ideale: «Alla Scala avevo avuto dei problemi, era il 51, il commendatore Di Costanzo che guidava il San Carlo venne a invitarmi di persona.

In onore della mia Violetta fecero una cosa straordinaria, un sipario di tulle tutto ricoperto di camelie vere. Una cosa mai vista». 

Così quella memorabile «Traviata» saldò il rapporto tra il San Carlo e il soprano nata a Pesaro nel 1922, morta a San Marino il 19 dicembre del 2004, sepolta a Langhirano vicino a mamma Giuseppina che tanto peso ebbe nella sua vita e nella sua carriera. Prima gli studi a Parma, al conservatorio Boito con Ettore Campogalliani (maestro che lanciò anche il giovane Pavarotti). E poi l'incontro a Milano con Toscanini: aveva 24 anni e quella che il celebre direttore definì «Voce d'angelo», riferendosi all'assolo che avrebbe dovuto interpretare nel «Te Deum» di Verdi nel concerto di riapertura della Scala dopo la guerra, l'11 maggio del 1946. Quella definizione le restò attaccata addosso. Lei non se ne rammaricava. «Con Toscanini», diceva, «fu un incontro determinante, una folgorazione. Purtroppo lui è venuto tardi in Italia, poi è andato di nuovo via ed è stato un guaio. Io avevo cominciato con lui, avevo solo una piccola cosa da cantare però...».

Però da allora nacque la leggenda di quella voce unica e preziosa: «La Bohéme», «Andrea Chénier», «Tosca», «Aida», «Madama Butterfly», «La forza del destino», «La Traviata», «Manon Lescaut», «Simon Boccanegra», «Adriana Lecouvreur», «La Gioconda», «La fanciulla del West», «Otello». Ma anche qualche titolo wagneriano, rigorosamente tradotto in italiano: «Maestri cantori», «Lohengrin», «Tannhauser» (per il debutto a Napoli nel 48). «È vero, mi hanno accusata di avere un repertorio limitato. Ma ho cantato solo cose che si adattavano alla mia voce. A Napoli, ad esempio, ho affrontato opere interessanti. Fernando Cortes di Spontini, Assedio di Corinto di Rossini. Oggi puntano quasi tutti su allestimento, costumi, scene. E cantano tutto, vogliono cantar tutto. Io ero carismatica perché riuscivo a trasmettere quello che avevo dentro. Se cantavo Mimì nel finale era tutto un soffiarsi di nasi, c'era qualche cosa che usciva dalla mia anima ed entrava nel cuore di tutti». 

Video

E la Callas? «La rivalità è stata una cosa di partigianeria dei nostri fan, ma ha fatto bene a tutte e due, eravamo talmente diverse... La sua voce era tutta costruita, le prime due ottave erano costruite, non aveva niente di naturale. Il grande repertorio lei non l'ha fatto. Ha cantato Aida, poi l'ha smessa, ha provato Andrea Chenier, Fedora, e ha lasciato. Ha cantato una volta o due Turandot, poi basta. È andata a tirar fuori titoli che nessuno conosceva così non si potevano fare paragoni.... Io sono sempre stata più disponibile, lei era più altera. Anzi, puntava su persone importanti. A me piaceva avere contatto con la gente semplice, c'era un feeling speciale, indimenticabile. È successo a Napoli, ma ho avuto questa sensazione col mio pubblico dovunque, anche a New York hanno fatto pazzie».

Già, New York. Renata Tebaldi ha dominato sul palcoscenico del Metropolitan per circa 18 anni dopo una folgorante Desdemona accanto all'Otello di Mario Del Monaco, nel 55, da record le sue 462 presenze per 18 opere. Ma Napoli, dove le presenze furono 154 in 24 opere, comprese le stagioni estive a Pompei e all'Arena Flegrea, restava sempre nel suo cuore. «Alloggiavamo con la mamma all'Excelsior, tutte le sere cenavo da Ciro a Santa Brigida. Una volta in via Chiaia si paralizzò il traffico. Io ero lì, guardavo le vetrine tutta affascinata da quei bei negozi, una persona mi ha conosciuto. Ohhh signorina Tebaldi un autografo. E dopo un altro, un altro, si è fatta una folla. Un'altra volta era dicembre, mi hanno telefonato perché la sorella della mia mamma, la zia Marianna, stava molto male. Mi sollecitavano di fare il possibile per tornare a casa presto. In piazza della stazione c'era un ingorgo, non si andava né avanti né indietro, avevamo una Flaminia nuova, scalpitavo. Sono uscita dall'auto. Un signore mi dice: Ma lei è Renata Tebaldi, che ci fa in questo traffico?. Subito mi hanno fatto strada dicendo Signuri', ma perché non siete scesa prima?, troppo bello questo spirito!». 

 

Il 15 novembre del 75 l'ultimo concerto napoletano. La consueta folla di fan sistemò uno striscione dal loggione: «Renata ritorna». Pochi mesi dopo, il 23 maggio del 76, a 32 anni dal debutto, lasciò le scene con un recital alla Scala: «Avevo sempre avuto il timore di non sapere cogliere il momento giusto per ritirarmi perché avevo visto tanti esempi di colleghi che hanno cantato tanti anni per forza. Una sera che non va bene può cancellare con un colpo di spugna una carriera fatta grandi sacrifici, responsabilità. Non ho cantato mai più, neppure in chiesa. Vivo con la Tina, amica, madre, sorella. Ascolto i miei dischi, esco poco. Alla Scala Riccardo Muti mi permette di assistere alle prove, mi metto in un angolino...».

Al San Carlo tornò come madrina in occasione dei 250 anni del teatro, nel 1987, entrando in sala in abito da sera al braccio dell'allora sovrintendente Francesco Canessa, amico da sempre. Fu lui a riportarla l'ultima volta a Napoli nel giugno del 99 in occasione della presentazione di una collana di dvd di vecchi trionfi sancarliani, con lei Magda Olivero. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA