Opera, Roma sfida il vuoto in platea: stupisce il film live del Barbiere (senza spettatori) firmato Martone

Opera, Roma sfida il vuoto in platea: stupisce il film live del Barbiere (senza spettatori) firmato Martone
di Simona Antonucci
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Domenica 6 Dicembre 2020, 08:08 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 01:02

Figaro arriva sfrecciando: la bacinella con i rasoi sotto un braccio, il casco in mano. A condurlo, del resto è il compito dei grandi direttori d'orchestra condurre i cantanti nel ruolo, il Maestro Daniele Gatti, con il papillon bianco sotto il piumone, in sella a uno scooter. Prima di raggiungere i riflettori, un giro per le strade del centro di Roma, dove debuttò il Barbiere di Siviglia per rallegrare il Carnevale del 1816, e dove è nata la straordinaria opera-film rossiniana con la regia di Mario Martone, trasmessa ieri da Rai Cultura su Rai 3, per aprire la stagione 2021 del Teatro dell'Opera.

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Un lavoro, che con un po' di follia (è stato preparato in un mese) e una radicata professionalità, spirito da nouvelle vague e un amore per le tavole del palcoscenico, profondo rispetto per il repertorio lirico e attrazione fatale verso le contaminazioni, ha restituito vita al mondo dello spettacolo.

Se è vero che durante la crisi si sperimenta, ieri, qualcosa di nuovo è successo: un'inaugurazione di un calendario, ma soprattutto di un'idea.

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Parcheggio di fortuna in piazza Beniamino Gigli, e poi Maestro e Factotum di corsa, sulle note della Cavatina, a dar vita a un evento solenne (come tutte le prime volte), e brioso (come si addice a un'opera buffa, anche se Gatti ha smorzato gli aspetti ridanciani, imprimendo talvolta uno sguardo amaro), segno dei tempi e della creatività che ha trasformato un teatro ingabbiato da fili e costrizioni in una fabbrica di idee e la paralisi da pandemia in vitalità.
Sono loro due gli unici a sfilare, in piazza Beniamino Gigli privata del consueto pubblico delle prime: gli appassionati di lirica distanziati nelle case e nei salotti, hanno ricreato sui divani l'atmosfera dei palchi, trasferendo sulle chat e sui social i commenti da foyer, già dalla prima scena. Ed è proprio alla passione degli spettatori e al glamour dei tappeti rossi, cui è dedicato un omaggio alla fine del primo atto, con le immagini dell'Istituto Luce delle prime storiche, con la Callas e la Magnani e Sofia Coppola in abito da sera, che scorrono su Dove cresce e mai non resta delle incudini sonore l'importuno strepitar.


La sinfonia si apre occupando, con tutta la sua bellezza (circolano online paragoni con Abbado) la sala vuota. I cantanti in costume ottocentesco sbucano da ogni angolo, scale a chiocciola, palchi, quinte quasi a riprendersi ciò che è stato loro negato per mesi. Le telecamere li seguono ovunque e il montaggio, che non interferisce mai con il fluire della musica, restituisce in tv, mai come questa volta servizio pubblico, dettagli inediti: lo sguardo, i respiri, le intese, la passione, i visi ridisegnati dallo sforzo, di questo cast straordinario, Andrzej Filoczyk (Figaro), Ruzil Gatin (il Conte d'Almaviva), Vasilisa Berzhanskaya (Rosina), Alessandro Corbelli (Don Bartolo), Alex Esposito (Don Basilio), Patrizia Biccirè (Berta) e Roberto Lorenzi (Fiorello).
E del direttore d'orchestra Gatti che ha tradotto le mille suggestioni, di linguaggi diversi, televisivi, filmici, musicali, con i cantanti alle spalle, dietro le quinte, nei cunicoli dei camerini, in un Rossini da prima assoluta. Impresa non da poco, visto che l'opera è stata registrata in presa diretta, seguendo una scaletta da film, cominciando dal finale, per poi affrontare le varie scene secondo esigenze cinematografiche.

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LA PIAZZA DI SIVIGLIA
A disposizione di Martone (che in questa regia ha messo tutto il catalogo delle sue conoscenze), platea, palcoscenico e palchi e sala vuota, che diventano balcone di Rosina, piazza di Siviglia, Casa di Bartolo, per poi rivelarsi una prigione, uno spazio legato, costretto da fili, imbavagliato dalla platea al lampadario monumentale. La gabbia che ha paralizzato lo spettacolo dal vivo e che in una toccante scena finale, proprio mentre Rosina dà voce alla sua libertà, viene aperta dagli artisti, i macchinisti, le sarte, i parrucchieri, i truccatori, i musicisti, i cantanti. Ognuno di loro ha in mano una cesoia e nel finale dell'opera diventano cinquanta lame che tagliano le catene. La creatività, la fantasia, l'energia che si nascondono nei teatri al buio: «L'amore», cantano, «la fede eterna si vegga in noi sempre regnar».
 

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