Riccardo Muti: «A Salisburgo un'Aida da sogno, la musica trionfa»

Riccardo Muti: «A Salisburgo un'Aida da sogno, la musica trionfa»
di Flaminia Bussotti
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Lunedì 7 Agosto 2017, 10:37 - Ultimo aggiornamento: 11 Agosto, 21:29
Salisburgo - Un'ora storica per il Festival della musica più importante del mondo: dopo essere di fatto scomparsa dal cartellone, Aida è tornata a Salisburgo con una squadra da sogno guidata dal maestro Muti sul podio dei Wiener Philharmoniker. Cast stellare con il soprano russo Anna Netrebko, il tenore Francesco Meli, il mezzo soprano russo Ekaterina Semenchuk), il baritono Luca Salsi e il basso Roberto Tagliavini. Regia della visual artist, fotografa e regista cinematografica iraniana, che vive in esilio in America, Shirin Neshat. Applausi e ovazioni alla prima ieri sera, alla presenza di Angela Merkel, Placido Domingo, che fu Radames in una storica Aida di Muti, Andrea Jonasson. In un'intervista, anche il maestro Muti, solitamente severo anche con se stesso, si mostra soddisfatto.

Finalmente una regia che la soddisfa?
«Sì, quando ho conosciuto questa meravigliosa artista, ignara completamente di Aida, di regia di opera, ho avvertito che il suo campo artistico e l'impegno per la condizione delle donne in molti paesi del Medio Oriente potesse, anche con l'aiuto di assistenti, realizzare una regia che riflettesse sul vero significato dell'opera al di là del trionfalismo e dei gigantismi di un Egitto oleografico e da cartolina. Perché il nodo, la grandezza di Aida sta nell'intimità delle molte scene dominate spesso da un solo personaggio, o due o tre che dialogano, si scontrano, e dal rapporto cruciale Aida-Amneris fra due culture, religioni, razze diverse, dove una diventa dominatrice sull'altra fino al punto di schiavizzarla assieme al suo popolo. Verdi come sempre tocca argomenti attuali che riguardano il passato, il presente e il futuro».

Accettando di fare la regia senza avere mai prima fatto un'opera è stato un atto di coraggio da parte della Neshat, ma anche da parte sua, un po' come un'acrobazia senza rete?
«Ho collaborato con grandissimi registi come Strehler, Stein, Ronconi, Vitez, De Simone. Ero stanco di regie provocatorie e spesso nocive della musica e del rapporto drammatico fra parola e musica. Avendo poi dopo fatto esperienze irritanti, avevo deciso di fare opera solo in esecuzioni in forma di concerto. Con la Neshat ho intuito che si trattava di una persona che pure senza dimestichezza non avrebbe tradito il fatto musicale. Stavo progettando, ma poi è sopraggiunta la morte del regista, una Aida con Strehler alla Scala ed eravamo d'accordo sul farla il più spoglia possibile, senza inutili riferimenti a un Egitto di riporto. Il trionfo è soprattutto nella musica, la potenza, l'apoteosi della musica, fra le più straordinarie pagine sinfoniche di Verdi. Il resto può essere riempito solo da profondi stati d'animo dei personaggi, non c'è bisogno delle piramidi».

Questa è un'opera difficile da mettere in scena, il rischio è la gigantografia hollywoodiana: cosa le è piaciuto in particolare della lettura minimalista della Neshat?
«Innanzitutto i costumi meravigliosi, che non sono di questa o quella epoca ma rimandano al mondo orientale. I muri bianchi che si rifanno alle costruzioni del Medio Oriente e a certe immagini dei templi egizi: grandi pareti bianche, o di sabbia, lei è una esperta assoluta di questo mondo che trasferisce in un'area non decifrabile ma che evoca il mondo di Aida».

C'era molta tensione prima di questa Aida, le prove erano blindate, è trapelato poco all'esterno: ci può dire qualcosa del lavoro preparatorio su cantanti e orchestra?
«No, non c'era assolutamente tensione. C'erano tre cantanti che debuttavano in Aida (Netrebko, Meli e Salsi). Abbiamo fatto un lavoro certosino senza concedere nulla ai media. Nessuna tensione, solo lavoro severo».

Il pubblico potrà rivederla con un'opera anche in Italia: nel 2018 torna al San Carlo con Così fan tutte che porterà poi a Vienna e Giappone nel 2019. Può anticipare qualcosa?
«Mozart è tra i musicisti assieme a Verdi a cui ho dedicato interesse, attenzione e studi particolari nella mia vita. Molte delle incisioni le ho fatte con la Filarmonica di Vienna. Napoli mi chiedeva da tempo di tornare con un'opera, vi avevo fatto un Macbeth nei primi anni '80. È un ritorno che mi rende felice, con la regia di mia figlia Chiara, che è sempre stata una mozartiana fin dal Figaro nel 1981 con Strehler quanto assisteva bambina alle prove. Conosce il mondo mozartiano benissimo. Penso che questa collaborazione possa portare uno stretto connubio fra musica e regia. Con Vienna il mio rapporto con la Staatsoper, di cui sono membro onorario, nasce proprio con Aida nel 1973. Fu la mia prima collaborazione con quel teatro e l'anno dopo ne risultò un'incisione con la Emi che conta ancora oggi, con un grande cast: Caballé, Cossotto, Domingo, Cappuccilli, Ghiaurov».
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