Michieletto: «Il musical all'opera, il valzer diventa foxtrot»

La vedova allegra con la regia di Damiano Michieletto
di Simona Antonucci
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Domenica 31 Marzo 2019, 17:15

All’Opéra Garnier parigini in fila per il suo Don Pasquale: dramma buffo di Donizetti che il regista Damiano Michieletto ha chiuso in una stanza Anni Sessanta, insieme con gli oggetti cult del boom economico. Dopo il successo dello scorso anno, è tornato per un bis, con una Norina dominante e rampante che mette nel sacco un anziano signore, carico di aspettative fuori età, e un giovane, che l'età ce l'avrebbe, ma è invece totalmente privo di aspettative.

 

Repliche fino al 16 aprile, mentre a Roma sono già in corso le prove dell’operetta di Lehár, in cartellone dal 14 aprile al Costanzi: una Vedova talmente allegra che snobba il valzer e si scatena nel foxtrot. Per il cast, coro compreso, lunghe prove al piano e in sala ballo, con otto danzatori professionisti.

In attesa che il “semi-musical” segni il passo, Michieletto è all’Opera di Francoforte dove oggi debutta il suo Der ferne Klang (Il suono lontano), uno dei lavori più significativi di Schreker e del clima della Secessione austriaca. Una storia di sogni e desideri, considerata oggi preziosa, ma che venne bollata come “degenerata” dai nazisti. E ora torna nel teatro dove vide la luce nel 1912, e a più di 70 anni dalla sua ultima rappresentazione.

Damiano Michieletto, 43 anni, veneziano, è un’eccellenza del teatro musicale, con premi Abbiati e Laurence Olivier nel cassetto e un curriculum che vanta anche una Bohème con la Netrebko, un Falstaff ambientato nella casa di riposo “Giuseppe Verdi” di Milano e un Guillaume Tell con una scena di stupro che ha diviso platee.

E ora? Un musical? Un film? Una direzione musicale?
«Mi piacerebbe, tutto. Ho due anime. Una vola da un progetto e l’altro. L’altra, quella dominata dal senso di responsabilità nei confronti degli spettatori,  mi ancora a migliorare i lavori già fatti. Un tarlo che mi fa compagnia. Ogni volta che riprendo un'opera, come il Don Pasquale a Parigi o la Vedova allegra a Roma, la smonto e la rimonto per cucirla addosso ai nuovi interpreti».

Ai cantanti chiede di recitare, ballare: l’anima. Qualcuno si “ribella”?
«Ma no. Anche perché io già dai provini non chiedo a un tenore di piantarsi sul palco a declamare l’aria. Mi piace che mi porti una sua idea. Quindi, la scelta avviene molto prima che si cominci a lavorare. E poi, quando si parte, si parte. Anche se bisogna cantare e contemporaneamente ballare il rock and roll. Tra l’altro, nelle scuole anglosassoni è scontato che si debba saper fare tutto. Qui un po’ meno. Questo uno dei motivi per cui il musical non rientra nelle stagione liriche».

Lei, con “La vedova allegra”, ci si è avvicinato molto.
«Adorerei fare un vero e proprio musical in un teatro d’opera. Questa separazione tra generi “alti” e “bassi” è da superare. Bernstein dirigeva le orchestre più importanti del mondo e intanto scriveva West Side Story. In Italia anche i titoli di musica contemporanea fanno fatica a trovare una sala. Penso, invece, che al pubblico andrebbero offerti “cocktail”».

Le piacerebbe una direzione artistica per proporre al pubblico un suo
“cocktail”​?
«Sarebbe una bella sfida. Girando molto in Italia e all'estero mi capita di fare confronti. A Bruxelles, per esempio, in stagione ci sono due opere nuove, commissionate proprio dal teatro. Ma anche a Macerata è stato indetto un concorso per giovani compositori. Credo che si potrebbe ripensare il teatro musicale e proporlo con sfumature diverse».

Creatività, ma anche tante grane quando si gestisce un teatro: ha seguito la bufera sulla Scala?
«Non conosco i dettagli dell’ipotetico accordo con gli arabi. Trovo che sia importante costruire un’economia che giri attorno ai teatri. Basta, però, che non diventi controproducente. Sta di fatto che in Italia qualsiasi confronto diventa una guerra. Boom... E la politica si appropria della faccenda con gli schieramenti a favore o contrari che finiscono per rispecchiare i partiti».

Un teatro pubblico è sostenuto con soldi dei cittadini che pagano le tasse. Si fa abbastanza per coinvolgere tutti?
«Ci sono ancora molti steccati. La qualità dovrebbe guidare le scelte, senza dare troppa importanza alle etichette. Osare, prendersi dei rischi. Scavalcare gli steccati».

Roberto Bolle in prima serata tv o Vittorio Grigolo nel cast di “Amici” sono operazioni che vanno in questa direzione?
«Non ho pregiudizi. Se mi dovesse capitare anche io andrei in tv».

E il cinema? Lo farà?
«Sono due linguaggi diversi. È un progetto che amo, ma che ha ancora molti punti di domanda. Me lo auguro e non mollo».

Come si vede da grande?
«Mi piacerebbe insegnare qualcosa agli altri.
Formare i giovani per il teatro del futuro». 

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