Livermore: «La mia Tosca alla Scala in una Roma mai vista. E poi un film sull'opera, ma sesso, droga e rock'n'roll»

Il regista Davide Livermore durante le prove di Tosca
di Simona Antonucci
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Domenica 24 Novembre 2019, 19:18

«Porto alla Scala la Roma di Giacomo Puccini. E quindi una Roma mai vista». Davide Livermore presenta la sua seconda regia “del 7 dicembre”: l’anno scorso ha conquistato Milano con Attila di Verdi, quest’anno presenta la sua eroina pucciniana, interpretata da Anna Netrebko e Luca Salsi nel ruolo di Scarpia, Riccardo Chailly sul podio.
 

 


Soltanto Ronconi, prima di lui, ha firmato due prime. E poi? Che cosa desidera di più un regista? «Magari farne una terza, oppure venire a Roma, a Capannelle, per seguire le corse del mio cavallo. L’altra passione della mia vita. Animali intelligentissimi che vivono nella paura. E su questa costruiscono l’arte della fuga. Chissà se Bach li ha mai osservati mentre componeva».

Torinese, 52 anni, è regista d’opera e di prosa dal 1998: prima ha lavorato come scenografo, costumista, ballerino, sceneggiatore, attore e cantante, esibendosi accanto a Pavarotti e Domingo. È stato sovrintendente del Reina Sofía di Valencia ed è stato appena nominato direttore del Teatro Nazionale di Genova.

Allora, che Roma sarà?
«Puccini ha scritto lo spettacolo perfetto. La partitura è un vero e proprio storyboard. Cinema. Tosca infatti è nata nel 1900. E i primi film si videro allora. Il mio lavoro è mostrare quello che racconta la musica, ma che in scena non è mai andato. Solitamente l’opera ha inizio in Sant’Andrea della Valle, che ci sarà, ma le prime note sono per un uomo che fugge. Un tempo sincopato che accompagna qualcuno che si nasconde. S’inginocchia, poi cerca in tasca una chiave, guarda la cancellata, si volta indietro... Azione».

Segue i protagonisti con una telecamera? Utilizzerà dei video?
«No, solo la tecnologia del teatro, che è pazzesca. Alla Scala puoi sognare e realizzare quello che vuoi. C’è una macchina scenica che mi consente di muovere il palco e creare delle zoomate. I video ci sono, ma serviranno ad altro. A raccontare la sospensione. Come nei film di Hitchcock, che era un genio. E che sui tempi di sospensione ha costruito il capolavoro
Nodo alla gola».

Puccini film-maker?
«Molte colonne sonore di film sono state costruite sui suoi temi. Una per tutte,
Guerre Stellari. L’interludio di Manon va verso l’infinito e oltre».

E Tosca verso quale epoca va?
«Io viaggio volentieri nel tempo, ma questa volta no. Verdi scrive per la contemporaneità. Quando affronti le sue opere ha un senso ipotizzare letture attualizzate. Puccini, no. Non fa politica, racconta. E io lo seguo fin dentro i luoghi descritti, ma rimasti nell’ombra. La cripta, le altre cappelle, Angelotti che fugge di prigione. Cerco di rimpossessarmi della storia e raccontarla in uno spettacolo immersivo».

Quanti riferimenti al cinema: farà un film?
«Sì. Con il video artista Paolo Gep Cucco del Prodea Group, che ha cambiato la qualità dei miei lavori. La storia è pronta, farà riferimento al mito dei miti. Sarà un lavoro molto legato all’opera. Ma anche al sesso, droga e rock’n’roll. Anche perché oggi, c’è molto più sesso nell’opera che nel rock».

Anche nei camerini: o almeno pare, dalle numerose denunce.
«Nei camerini, no. I cantanti hanno lo stesso regime degli atleti, devono sostenere sforzi sovrumani».

Avrà un cast eccezionale, ma soprattutto la diva Netrebko: le ha chiesto delle modifiche?
«Come tutte le dive è una donna diretta. E preparata. Abbiamo curato insieme il primo atto, che è quello in cui ci si diverte. Puccini prima del dramma, intrattiene. E lei è stupenda, gelosa, si diverte a giocare all’amore. Quando dice “Mario, ma falle gli occhi neri”... Non c’è modo di resisterle».

Il rito mondano della prima alla Scala le piace?
«Quella sera io lavoro. E comunque il glamour è benvenuto. Uno spettacolo lirico è un grande evento: trecento persone sul palco che creano cibo per l’anima. Un miracolo in diretta che si merita lustro».

Ha sentito delle polemiche per l’aumento dei biglietti al Maggio Fiorentino?
«Follia! L’opera contribuisce alla formazione sentimentale, umana e culturale delle persone che non possono alimentarsi solo di talk o dell’odio dei social. E poi un biglietto costa meno di un telefonino».

Se fosse ministro ai Beni culturali per un giorno?
«Un giorno non basta, ma darei un polmone per riavere quel 33 per cento tagliato alla cultura.
Siamo italiani, viviamo nella bellezza e nella storia. Un euro investito dallo Stato torna moltiplicato per cinque». 

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