La regista Valentina Carrasco al Costanzi: «Una “prima” donna, senza le quote rosa»

La regista Valentina Carrasco con i cantanti John Osborn e Roberto Frontali
di Simona Antonucci
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Giovedì 28 Novembre 2019, 18:19 - Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 20:04

 Lastre di pietra per raccontare una terra violata. Né siciliani, né francesi. Né Milleduecento, né Duemila: «Nei Vespri di Verdi si racconta una storia che appartiene a qualsiasi popolo e a ogni epoca. A tutti coloro che sono stati saccheggiati degli affetti, delle proprietà, dal coraggio di reagire».

Valentina Carrasco, 45 anni, nata a Buenos Aires e cresciuta nella compagnia catalana Fura dels Baus, presenta Les Vêpres siciliennes, lo spettacolo che con la sua regia taglierà il nastro il 10 dicembre della nuova stagione del Costanzi.

 

 


Il primo incontro tra Verdi e il Grand Opéra, nella lettura intima e introspettiva di una regista donna («siamo pochissime, forse meno delle direttrici d’orchestra»): anzi l’unica donna che, negli ultimi decenni, firma un’inaugurazione del teatro dell’Opera di Roma («un evento, ma per carità non parliamo di quote rosa»). Prima di lei, soltanto la ballerina e coreografa Margarete Wallmann che nel Cinquanta fece alcuni lavori e la cantante Galina Vishnevskaya.

Con Carrasco, il maestro Daniele Gatti, direttore musicale della Fondazione, i cantanti Roberto Frontali (Montfort), John Osborn (Henri), Michele Pertusi (Procida) e Roberta Mantegna (Hélène). E il maestro Richard Peduzzi, artista, architetto d’interni, oltre che grandissimo scenografo, compagno di Chérau in tante indimenticabili avventure.

Per la sua prima “prima”, il debutto di Verdi nel Grand Opéra.
«Un titolo particolare. Verdi, dopo il successo della trilogia popolare, viene scritturato a Parigi per misurarsi con un genere allora in voga. Un fiume di musica, cinque atti e un balletto di più di mezz’ora. Un librettista imposto dalla produzione e il fantasma della censura pronta a sforbiciare qualsiasi contenuto patriottico. Con i Vespri, dimostra di aver assorbito i codici francesi. Forse non firma il suo capolavoro, ma segna la via del cammino che lo porterà al Don Carlos».

Un’opera corale, come i Vespri, è più complicata da interpretare?
«Verdi sceglie di intitolare l’opera con il nome di un gruppo umano e di affidare al coro un ruolo centrale. Io ho lavorato sulle varie sfaccettature che portano a fare e non fare la rivoluzione. L’amore, i legami familiari, gli interessi».

Mezz’ora di balletto: come lo ha montato?

«Arriva in uno dei momenti più drammatici dell’intreccio. Per non smorzare la tensione, ho sfruttato quel tempo infinito per raccontare il dietro le quinte dei personaggi. Hélène, austriaca, segnata dal lutto del fratello, urla vendetta, ma ci ripensa per amore. Henri, in bilico tra l’affetto verso il padre ritrovato, il cattivissimo governatore Montfort, e i compagni di rivolta. Montfort che farà dipendere la pace tra i due popoli dalla pace con il figlio. E Procida, l’unico personaggio lineare, radicale dall’inizio alla fine».

A Caracalla lei portò Carmen in jeans ai confini del muro tra Stati Uniti e Messico. Questa volta qual è la sua lettura?
«Avrei potuto scegliere di fare mille riferimenti all’attualità. Dalle Sardine a Hong Kong passando per il Sudamerica, che è la mia terra. Ma trovo che in alcuni casi, riprodurre l’attualità uccida il testo. In quest’opera, tra l’altro, la rivolta non si vede mai, se non nei pochi minuti finali».

Tra Gatti e Peduzzi, due figure autorevoli, è riuscita sempre a portare avanti la sua linea?
«Procediamo compatti. Peduzzi ha creato una scena sospesa, una sorta di cava, un orizzonte arido, simbolo di un Sud del mondo. La lettura della partitura di Gatti è sublime».

Come mai ci sono così poche registe donne?
«I posti di comando, soprattutto in questo mondo, sono in mano agli uomini. E quando c’è una donna, spesso diventa trasparente. Non viene ascoltata. Se si impone, è subito isterica».

Colleghi sordi e di tanto in tanto molestatori?
«Ho una mia visione del #MeToo. Violenza a parte, perché è tutto un altro discorso, molestare è anche non ascoltare e non offrire alle donne lo stesso compenso degli uomini». 

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