Eleonora Abbagnato a 42 anni dice addio all'Opéra di Parigi: «E ora ballo da sola»

Eleonora Abbagnato a 42 anni dice addio all'Opéra di Parigi: «E ora ballo da sola»
di Simona Antonucci
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Lunedì 20 Gennaio 2020, 22:30 - Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 21:55

 Accovacciata sul pavimento a sistemarsi le scarpe di raso rosa con i nastri attorno alle caviglie sembra una ragazzina uscita da un quadro di Degas. E non un’étoile che sta per restituire le chiavi del camerino. «A Parigi è così», spiega Eleonora Abbagnato, palermitana, 41 anni e un po’, «a 42 anni il teatro ti manda in pensione. In Italia, le fondazioni ti consentono di ballare fino a 47. Direi che 45 sarebbe una giusta via di mezzo. Anche se già a 38 anni devi cominciare a dire addio a molti ruoli. Al Lago dei Cigni e a quasi tutto il repertorio classico. Per altri, invece, come le coreografie della Serata Jerome Robbins che ballo qui al Teatro dell’Opera di Roma dal 30 gennaio o La Dama delle Camelie che porto a Varsavia a marzo, una donna matura è perfetta. Si cresce. Si cambia».

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La data per l’uscita dall’Opera di Parigi, dove entrò 28 anni fa (la prima italiana, «l’italienne e qualche volta la mafieuse») è stata fissata, dopo slittamenti e scioperi, al prossimo 18 maggio: «Ci saranno tutti, il corpo di ballo, gli amici, i colleghi. Farò i miei brani preferiti,
Rose Malade, Le Parc... Sarà una festa. Sì. Una festa. Non voglio pensare altro. Non ha senso dare spazio alla tristezza. E poi, ho ancora tante di quelle cose da fare».
 

 

Un addio a Parigi e un arrivederci a presto ad altri palcoscenici?
«Per fortuna! A Roma stiamo provando la Serata Jerome Robbins. Io sarò in scena nel brano
In The Night. In duo con Zachary Catazaro. E poi spazio ai miei ragazzi. Si tratta di un’altra tappa del percorso di avvicinamento ai coreografi contemporanei. Da quando sono responsabile del Ballo al Costanzi ho cominciato a rivedere la programmazione. Repertorio classico e titoli più recenti, anche per portare i ragazzi al livello dei teatri europei».
 
 


Poi la Dama delle Camelie a Varsavia. Uno dei suoi ruoli preferiti, Perché?
«Perché è cinema. John Neumeier, il coreografo, è un genio. In scena non sei una ballerina, diventi un’attrice».

A proposito di cinema, come vanno le riprese del film dedicato alla sua vita?
«Il regista, Irish Braschi, sta cercando una bambina con il mio carattere. Irrequieta. Determinata. La storia comincia a Palermo, io piccolissima, e si ferma con il mio ingresso all’Opéra di Parigi, a 14 anni. Raccontiamo il sogno. Alla Billy Elliot, senza i drammi familiari».

E il resto della storia farà parte di un sequel?
«Ma chissà. Un bel drammone tipo Cigno nero. Scherzo. Anche se nel mio ambiente devi sempre stare in guardia. Saperti difendere e saper attaccare. Sì, come nel calcio. Imparo da mio marito, Federico Balzaretti. Sotto i riflettori è così, più cresci, più resti solo».

Il nido sicuro?
«Casa, con lui e i nostri quattro figli».

Allora cominciamo anche noi a sfogliare i ricordi da bambina.
«A 11 anni sono partita. Scuola a Montecarlo. Sostenuta dalla mia famiglia, da mamma soprattutto. Ma è stato l’incontro con Roland Petit a trasformare un’avventura in favola. Mi scelse per il ruolo di Aurora nella Bella Addormentata. E diventai la mascotte della compagnia».

Che cosa vide Petit in lei?
«Non avevo paura di lui, anche perché non mi era chiaro chi fosse. Ero diretta e sveglia. Stavo già sulle punte. In un minuto imparavo la parte. Lui era severo. E geniale. Per lo spettacolo mi tinsero i capelli di nero. Dovevamo tutte assomigliare alla sua musa, Zizi Jeanmaire».

E l’incontro con Pina Bausch?
«Ero già a Parigi. Pina fece della audizioni senza tener conto del “grado”. Io ero una delle tante. Ma volle me per la sua
Sacre du Printemps. Lavorare con lei era come stare in perenne seduta psicanalitica. Mia madre restava turbata quando mi vedeva ballare quel brano. Non mi riconosceva».

Ora che sta per lasciare Parigi,  ricorda il suo arrivo?
«Ricordo i sogni e la mia indipendenza. A 14 anni ero già autonoma, mi cucinavo, badavo a me stessa. E a casa sto cercando di far passare questa linea anche con i figli. Durante i week end mi trasferivo nella mia famiglia di accoglienza dove c’erano altri quattro bambini. Furono anni indimenticabili. Diventai un’étoile. Imparai a combattere la solitudine. Ma ora, stare da sola, non mi piace più». 

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