Il regista Michieletto: «Se ci manca il rapporto umano allora la nostra è una società umana»

Il regista Damiano Michieletto
di Simona Antonucci
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Domenica 5 Aprile 2020, 15:15

«C’è una grande vitalità sui social. Mi auguro che il fermento di questi giorni non si dissolva. Il web può abbattere costi e muri, stimolare una nuova creatività. Ma certo non può sostituire lo spettacolo dal vivo. E alla ripartenza bisognerà tenere conto di questa fantasia, ma anche, e soprattutto, di questo vuoto».
 

 

Damiano Michieletto, veneziano, 44 anni, sessanta regie liriche, due premi Abbiati, un Olivier Award, è un’eccellenza del Made in Italy del teatro musicale. Il coronavirus ha congelato molti dei suoi appuntamenti internazionali, a cominciare dalla Salome che doveva andare in scena alla Scala l’8 marzo.

Nel mentre... fa il giornalista. Per il Teatro La Fenice di Venezia conduce un talk, online ogni giorno alle 18, per promuovere l’iniziativa benefica “La Fenice & Friends for Italy
, a sostegno della Protezione civile italiana. Il calendario è sul sito del lirico veneziano.

Come si sente dall’altra parte del microfono?

«Mi diverto molto. E studio. Bisogna prepararsi per chiedere qualcosa di non banale e saper mantenere un ritmo quasi da stazione radiofonica. Su Instagram, live, si va veloci. 15 minuti è il tempo a disposizione».

Le sue esperienze teatrali sono state d’aiuto?

«Si. Soprattutto la capacità di comunicare e di interagire. Io imbastisco molte tracce, ma, in diretta, il discorso può diventare completamente diverso da come lo immaginavi. Un po’ come succede a teatro. Arrivi alle prove con un sacco di idee in testa e poi entrando in contatto con gli artisti, devi rivederne un bel po’. Ho scoperto che quando intervisti qualcuno serve avere la stessa prontezza di riflessi che viene richiesta in scena».

Ha inaugurato la serie di appuntamenti con il pianista Igor Levit, poi ha incontrato Roberto D’Agostino per parlare di erotismo nella lirica, lo scrittore Alessandro Baricco. In calendario anche il violoncellista Mario Brunello, la coppia di premi Oscar Joel Coen e Frances McDormand. Come seleziona gli interventi?

«Il percussionista Simone Rubino, i soprani Lisette Oropesa e Carmela Remigio, i baritoni Luca Salsi e Alex Esposito, l’organista Cameron Carpenter. Alcuni sono amici, artisti con cui ho lavorato tante volte. Altri sono personaggi legati alla Fenice, a Venezia. Molti si stanno aggiungendo. Qualcuno propone anche piccole performance. Ci sarà Chick Corea che ha quasi 80 anni, grandissimo».

Non crede che delle chiacchierate così divulgative, e poco accademiche, sul mondo della musica, rappresentino un modello da replicare?

«Assolutamente sì. E magari continuando a utilizzare i social, anche una volta fuori dall’emergenza sanitaria. I teatri dovrebbero impegnarsi di più a mantenere un contatto diretto e costante con il pubblico».

Al momento stanno svuotando gli archivi. Ma secondo lei è giusto che un film su una piattaforma sia a pagamento, mentre un’opera non costi nulla?

«Quello che succede adesso è il risultato di decisioni prese in stato di emergenza. E in un momento in cui la solidarietà è necessaria. In generale, però, credo che i teatri debbano fornire dei cataloghi, da scaricare a pagamento, con opere del passato, più o meno recenti, anche per tutte le persone che non sono riuscite a vederle».

Per mantenere vivo il legame con gli spettatori l’istituto di cultura italiano a Stoccolma ha inaugurato proiezioni di spettacoli “One for All”, per un solo melomane. E il titolo scelto è stato Sigismondo, con la sua regia. Un po’ folle?

«Sono d’accordo a lanciare segnali. Ma credo che sia giunto il momento di cominciare a investire fantasia e creatività per il dopo. I teatri saranno gli ultimi ad aprire. Credo. Anche perché gli spettacoli sono lavori collettivi, nati da un insieme di persone per un insieme di persone. Ma non penso che alla ripresa tutto possa essere come prima. Va inventato un sistema per tornare in scena in un altro modo. Forse senza orchestra in buca, con dei pianisti. Adattando le opere. Degli step intermedi, prima di poterci riappropriare di tutti quei rapporti umani che fanno del teatro una magia».

Che cosa le manca di più in questi giorni?

«Il rapporto umano, appunto, che è alla base del mio mestiere. E se manca così tanto, a tutti, vuol dire che siamo una società molto umana. E mi piace pensarlo»

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