Il coreografo Akram Khan: «Danzo Xenos per ricordare
l'esercito fantasma di indiani nella Prima Guerra Mondiale»

Akram Khan in Xenos
di Simona Antonucci
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Domenica 18 Agosto 2019, 20:22

Le pagine degli archivi del Ventesimo Secolo si animano. E segnano il passo di Xenos, lo spettacolo che il coreografo Akram Khan ha dedicato a tutti quei soldati e a quelle battaglie che non sono mai diventate un libro e forse neanche il capitolo di un manuale di storia sulla Prima Guerra Mondiale.
 

 


Un esercito invisibile, più di un milione di indiani che ha combattuto nelle linee britanniche, europee, americane «stranieri in terra straniera», spiega l’artista nato a Londra in una famiglia bengalese, «considerati estranei alla narrativa ufficiale, anche perché segregati nelle crepe della politica coloniale, associati a un’epoca scomoda di cui nessuno ha più voglia di parlare. Per andare avanti, quegli anni vanno riscritti, anche perché quello che sta succedendo oggi nei nostri mari nasce allora».

Akram Khan, 45 anni, si è sempre mosso sulle linee di confine, tra Est e Ovest, tra ricerca e pop. Dopo aver collaborato con il regista Peter Brook, con l’artista Anish Kapoor e il musicista Nitin Sawhney, ha recitato e danzato con l’attrice Juliette Binoche, ha firmato i balletti del tour di Kylie Minogue e quelli di Giselle per l’English Ballet, e nel 2012 ha danzato con la sua compagnia alla cerimonia dei Giochi Olimpici.

Nel 2019 ha vinto il Laurence Olivier Award proprio per il suo Xenos, in cui affronta la grande storia e restituisce voce e corpo a un’armata senza volto e senza gloria. «Le loro ansie e i loro sogni», dice, «diventano materia artistica e di riflessione sulla condizione umana, di un secolo fa e dei giorni che verranno. Sulle meraviglie e l’orrore che sappiamo produrre».

Questa produzione (dal 18 al 20 settembre al Teatro Argentina per il Festival Romaeuropa e il 25 e il 26 settembre a Torino Danza) sarà anche l’ultima occasione per ammirare il coreografo in scena in un “solo” di lunga durata, «perché», racconta, «non ho più voglia di allontanarmi dai miei figli per lunghi periodi e poi, sì, l’età un po’ la sento. Non è un problema di fatica, ma di consapevolezza che il tempo non è più infinito. Un pensiero che da giovani non ti sfiora mai».

Utilizzando la danza classica indiana Kathak e il linguaggio contemporaneo, con musiche firmate dall’italiano Vincenzo Lamagna ed eseguite da un ensemble di cinque elementi (B C Manjunath alle percussioni, Aditya Prakash voce, Nina Harries al basso, Clarice Rarity violino, Tamar Osborn sassofono), Khan trasforma il corpo di un soldato coloniale in uno strumento di guerra. «La Prima Guerra Mondiale è servita anche da test per sperimentare bombe, gas, armi. Un primo conflitto tecnologico, anche da un punto di visto medico, chirurgico. Andavi al fronte con un corpo, ripartivi con un altro. Frankenstein anche nell’anima. Noi dimentichiamo in fretta e infatti stiamo tornando indietro. Ricordare serve a non commettere gli stessi errori».

Dagli archivi al quotidiano. «La paura degli altri alimenta la guerra, si diventa tutti stranieri», aggiunge, «e alle radici della Brexit c’è proprio la xenofobia. Chiudersi creerà una serie infinita di problemi, nel nostro lavoro, che si condivide con artisti da tutto il mondo, e nella vita. Quando alzi dei muri diventi anche tu un prigioniero. Una follia soprattutto perché le culture sono nate grazie al continuo movimento dei popoli».

Fondamentale il ruolo dell’arte «che traduce il passato in futuro» e della danza «che celebra proprio il movimento». All’importanza della coreografia contemporanea è dedicata la serie di Sky Arte, curata da Akran Kham appena andata in onda.

«È stata un’esperienza straordinaria celebrare in tv la danza.
Da quando esiste il concetto di Dio, gli esseri umani l’hanno smantellato e da quando esiste la tecnologia, quest’ultima ha smantellato il concetto di essere umano. Ha azzerato il movimento. Tuttavia, credo fermamente che la danza abbia la capacità di ricostruire e porsi la domanda: cosa significa essere umani? E questo perché la danza è il modo più vero e sincero che abbiamo per esprimere noi stessi». 

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