Graham Vick all'Opera: «Il mio Don Giovanni è un sociopatico»

Graham Vick durante le prove del Don Giovanni al Teatro dell'Opera dal 27 settembre
di Simona Antonucci
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Mercoledì 25 Settembre 2019, 22:31
«I costumi? Moderni, certo. Ma non sarà un Don Giovanni “modernizzato”. Direi uno spettacolo che appartiene a un mondo mitico, quello del palcoscenico. Dove può succedere di tutto». Di tutto, nelle regie firmate da Graham Vick, inglese, 65 anni, sette premi Abbiati, succede sempre. Le sue letture non sono déjà-vu. Il regista che ha fondato a Birmingham «un centro di produzione per lo sviluppo della lirica», concepisce l’opera come «un’arte d’avanguardia del XXI secolo».

E i titoli presi in esame dalla sua Company, pur rispettando i capolavori, vengono restituiti al pubblico in chiave inedita: sia quando utilizza peluche giganti per la
Semiramide, sia quando fa sfilare sul palco donne nude in carriola nelle Nozze di Figaro, Vick è sempr interessato a una visione contemporanea, psicanalitica e politica.

E venerdì 27 settembre (fino al 6 ottobre) presenterà agli spettatori del Teatro dell’Opera
Don Giovanni, ultimo capitolo della sua trilogia Mozart-Da Ponte che tra il 2021 e il 2022 verrà riprogrammata per intero, a giorni alterni.

Sul podio Jérémie Rhorer, nel ruolo del protagonista canteranno Alessio Arduini e Riccardo Fassi, Juan Francisco Gatell e Anicio Zorzi Giustiniani interpreteranno Don Ottavio, Vito Priante e Guido Loconsolo Leporello, Emanuele Cordaro Masetto e Antonio di Matteo il Commendatore. I ruoli femminili sono affidati a Maria Grazia Schiavo e Valentina Varriale (Donna Anna), Salome Jicia e Gioia Crepaldi (Donna Elvira), e Marianne Croux (Zerlina). Nel cast anche i talenti di “Fabbrica”: Rafaela Albuquerque (Zerlina) e Andrii Ganchuk (Masetto).

Qual è la sua visione del Don Giovanni?
«Un uomo che ha un pessimo carattere. Totalmente privo di empatia. Non conosce i limiti e non sa che cosa sia il rispetto. Un sociopatico».

Un personaggio che attraversa i secoli?
«Chiunque ci si può riconoscere o riconoscerci qualcuno. I ragazzi sanno di che cosa parlo. Il nostro quotidiano è affollatissimo di persone così».

Non c’è speranza?

«No. Sopravviveranno i Boris Johnson, i Salvini, i Trump». Salvini ora è fuori dal Governo. «Per ora. Tornerà...».

Lei ha posto l’accento sulla politica? Sullo scontro sociale?
«Sull’identità. Su chi si è, chi si vorrebbe essere, chi si pretende di essere. Naturalmente sull’esercizio del potere. Ma siamo in un dramma giocoso che al cinquanta per cento è un’opera buffa. Si affrontano le profondità dell’essere umano, ma vengono pronunciate parole che ti invitano a ridere. Siamo in pieno teatro dell’Assurdo».

Le sue regie spesso fanno discutere: immagina di che cosa si parlerà nel foyer?
«Vedremo. Per me il senso di tutto è che non siamo nati buoni. Un problema di Dna e non di morale».

E il sesso? Non avrà un senso centrale?
«Come si fa a raccontare Don Giovanni senza sesso! Fortunatamente la società si è evoluta e si è elevata».

La parola libertà viene pronunciata spesso nell’opera. Lei è sempre libero?
«Nei teatri, finora, mi hanno sempre lasciato fare.
Mai censure. Nei nostri tempi, la speranza è nell’arte». 
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