Giulio Cesare di Händel alla Scala: un trionfo grazie al genio di Robert Carsen e alla sensibilità di Giovanni Antonini

Danielle de Niese Cleopatra nel Giulio Cesare di Händel al Teatro La Scala
di Luca Della Libera
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 30 Ottobre 2019, 13:55
Händel, un trionfo alla Scala per “Giulio Cesare”. Quasi quattro ore di musica passate in un soffio, e alla fine la voglia di riascoltare da capo. Pubblico entusiasta, con applausi a scena aperta dopo ogni aria e successo finale per tutti.

Il capolavoro del “Sassone” è tornato a Milano dopo ben sessantadue anni, colmando un grave ritardo. Le opere di questo gigante, peraltro scritte su libretti in italiano, sono regolarmente in scena in giro per il mondo, ma in Italia, dove Händel passò anni decisivi per la sua formazione tra Venezia, Napoli, Firenze e Roma e visse a contatto con gente come i due Scarlatti, Corelli e Pasquini, ad ogni suo allestimento si parla di “evento” da parte di una fetta di pubblico troppo abituato ai soliti titoli.

Lo spettacolo era stato pensato per il grande rientro scaligero di Cecilia Bartoli, ma con l’uscita di scena del sovrintendente Alexander Pereira la cantante ha cancellato il suo impegno: per fortuna il titolo è rimasto in cartellone. Per questo nuovo “Giulio Cesare” la Scala ha puntato da un lato sul genio di Robert Carsen e dall’altro sull’esperienza e sensibilità di Giovanni Antonini.

Il regista ha realizzato uno spettacolo giocato sull’ironia e sulla leggerezza piuttosto che sull’originalità. Carsen ha declinato la vicenda al presente: soldati in tute mimetiche, eleganti divise, ma anche dishdasha (il tipico abito arabo bianco di cotone) e gigantografie delle dune del deserto.

Molti i momenti da incorniciare: l’happy end, e cioè la firma di un trattato commerciale tra Egizi e Romani davanti ad un oleodotto petrolifero; l’aria di Cesare “Va tacito e nascosto” (miracolo: i corni non hanno scroccato!) con un divertente scambio di regali griffati tra i soldati di Cesare e quelli di Tolomeo con tanto di balletto.

Ancora, lo struggente duetto “Son nato a lagrimar”, con due livide luci bianche che illuminano dall’alto Cornelia e Sesto. Infine, mentre Cleopatra seduce Cesare, in uno schermo vediamo le grandi attrici che l’hanno interpretata, Claudette Colbert, Vivian Leigh e Liz Taylor.

La maestria di Carsen ha avuto modo di esprimersi anche nei “da capo” delle arie: gli abbellimenti vocali trovavano sempre una soluzione che ne riflettesse gli “affetti”. I cantanti. In scena c’erano ben quattro controtenori, tutti di altissimo livello, sebbene con caratteristiche precipue.

Nel ruolo del titolo Bejun Metha: dotato di ottima presenza scenica, ha il suo punto di forza nelle sfumature e nelle pagine liriche più che in quelle virtuosistiche. Philippe Jaroussky possiede il timbro ideale per il personaggio di Sesto, in sospeso tra la giovinezza e la maturità. Christophe Dumaux ha aderito magnificamente al personaggio di Tolomeo, mettendone in luce l’aggressività; buona la prova di Luigi Schifano nel ruolo di Nireno. Sara Mingardo (Cornelia) ha una voce magnifica, di velluto puro, sempre dentro il personaggio.

In fine Danielle de Niese (Cleopatra): ha una voce non molto potente e neanche troppo attenta alla dizione, ma è cantante di grande carattere e personalità, in piena sintonia con le scelte del regista.
Sul podio e in buca meraviglie. Giovanni Antonini aveva a disposizione l’Orchestra della Scala “barocchizzata”, oltre ad alcuni fidi musicisti del suo gruppo “Il giardino armonico”, con i quali ha regalato un fraseggio sempre morbido e palpitante, ma anche pieno di sfumature, in particolare nelle oasi liriche e nei “da capo”. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA