Ferrara: «Da Marion Cotillard a Robert Carsen, tutti i mondi del Festival di Spoleto»

Lo spettacolo My Ladies Rock, in cartellone al festival di Spoleto che comincia il 29 giugno
di Simona Antonucci
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Mercoledì 23 Maggio 2018, 22:56 - Ultimo aggiornamento: 26 Maggio, 01:11
Si chiude il sipario su Mozart e si apre sull’opera contemporanea, si spengono i riflettori su Bob Wilson e si accendono su Robert Carsen. E Muti, star del concerto in piazza lo scorso anno, passa il testimone a un premio Oscar, Marion Cotillard. Il festival di Spoleto, dopo il sessantesimo compleanno, presenta il suo nuovo corso. E Giorgio Ferrara, direttore artistico dei 2Mondi dal 2008, presenta il suo nuovo triennio.

Dopo la trilogia mozartiana, quest’anno il festival viene inaugurato da un’opera contemporanea, il Minotauro, della compositrice italiana Silvia Colasanti. Rivoluzione in atto?
«I tre spettacoli, Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, si sono rivelati un’operazione forte, vincente. Sono ancora in tournée con il “marchio” dei 2Mondi. Dopo un risultato del genere, mi è sembrato giusto, per il prossimo triennio, puntare nuovamente su nostre produzioni, nate qui. La prima è una commissione alla Colasanti, talento italiano, apprezzato ovunque. Trovo, tra l’altro, che investire sulla musica di oggi sia doveroso, un modo giusto di impiegare denaro pubblico. Dovrebbero farlo anche le Fondazioni liriche. Un titolo all’anno, almeno. Noi abbiamo scelto il Minotauro di Dürrenmatt perché è un testo attualissimo, forte. Una riflessione sui mostri, che mostri non sono. Io ho lavorato al libretto con De Cecatty, e ho curato la regia, Silvia ha composto 10 quadri accompagnando con la sua magnifica musica un uomo - mostro pieno di dubbi, disperato di dover compiere il suo ruolo di carnefice. Un dramma umano, toccante».

Anche questa inaugurazione porta la sua firma. Che cosa risponde alle critiche di eccessivo presenzialismo?
«Rispondo volentieri. Trovo che un direttore artistico debba uscire allo scoperto. Mettendosi in gioco personalmente. Firmare una regia significa anche presentare una linea. Ed è esattamente quello che faceva Menotti, il fondatore, sempre presente in cartellone. Tra l’altro, lavorare sotto i riflettori è fondamentale per compattare la squadra». 

E qual è la sua linea?

«Insistere e consolidare le prerogative di questa manifestazione, l’unica veramente multidisciplinare in Europa. Una vetrina internazionale che ospiti suggestioni da più linguaggi, musica, danza, prosa, opera. Siamo partiti da due mondi, ne abbiamo conquistati molti altri, siamo partiti da 5 mila spettatori, siamo arrivati a 90 mila, siamo partiti con gli abitanti di Spoleto che guardavano le locandine dei teatri e tiravano dritto e siamo arrivati a un coinvolgimento totale. Il Teatro Lirico Sperimentale che rischia di chiudere è stato inserito nel programma con Cenerentola al Teatro Romano. Si è tutto moltiplicato, tranne i finanziamenti pubblici, sempre intorno ai tre milioni, su 5 di budget totale».

Il festival dura tre settimane, dal 29 giugno al 15 luglio. Ma per quanti mesi occupa la sua mente?
«Quando presi l’incarico pensai: che meraviglia, una ventina di giorni in estate... E invece ci lavoro tutto l’anno. Per fortuna ho una collaboratrice “ombra”, eccezionale, mia moglie, Adriana Asti. La migliore alleata davanti e dietro il sipario». 

E la Asti sarà protagonista dello spettacolo di Marco Tullio Giordana.
«Una sorta di installazione-omaggio a Carlo Porta. Giordana proietta un corto interpretato da Adriana da una poesia di Porta, in un milanese stretto incomprensibile ai più. Adriana poi sarà la “traduttrice”». 

Quest’anno manca Muti. 
«Muti è come Paganini. Non si ripete. Anzi per noi ha fatto un’eccezione. L’anno scorso è venuto per dirigere in piazza. Ha dato molto al festival e noi abbiamo dato molto a lui, coinvolgendo per tre anni la sua amata orchestra Cherubini».

Ci sarà un premio Oscar, Marion Cotillard
«Protagonista di Giovanna d’Arco al Rogo. Diretta da un sofisticato regista francese, Benoit Jacquot. Uno spettacolo imponente, con cento coristi di Santa Cecilia, più il coro di bambini, con cui chiuderemo il 15 luglio in piazza Duomo. Un affresco musicale, costruito come un flashback, con l’eroina che ripensa alla sua vita prima di morire».

E Wilson, ospite da sempre?
«Lui e Ronconi sono stati come fari. Quest’anno Wilson è in tournée con il suo Edipo. Noi abbiamo fatto un Edipo lo scorso anno. E quindi, niente. Ma in qualche modo c’è: They, della coreografa Kavallieratos, riflessione sulle identità sessuali, è nato dal suo laboratorio Watermill Summer Program».

Notevole la firma di Robert Carsen, star del firmamento dei registi.
«Farà The Beggar’s Opera, una prestigiosa coproduzione internazionale che dopo il debutto a Parigi arriva qui. Carsen ha spostato questa prima commedia musicale della storia dal Settecento ai tempi d’oggi. I mendicanti stanno in un magazzino di scatoloni e tra ladri e prostitute si parla di Brexit, politica, corruzione».

Si è appena chiuso il festival di Cannes con un’attenzione particolare alle donne. Lei l’ha avuta?
«Alle donne è dedicato My Ladies Rock, una coregrafia di Gallotta sulle protagoniste del rock, da Patti Smith a Janis Joplin, che hanno rinnovato la musica e soprattutto la società. C’è Lucia Calamaro che ha scritto e diretto Si nota all’imbrunire con Silvio Orlando, Silvia Colasanti e tantissime altre. Ma mi è venuto spontaneo, non ho pensato alle quote rosa».

In pillole tutto il resto
«Lucinda Childs, icona della danza minimalista.
Baricco che per la prima volta legge il suo Novecento. Un ritratto inedito di Mussolini, studiato e interpretato da Augias e Gentile, con Popolizio nei panni del Duce. La Fondazione Carla Fendi che in questo primo anno senza Carla presenta un progetto dedicato alla scienza curato da Maria Teresa Venturini Fendi con i premi ai Nobel Peter Higgs, Francois Englert e Fabiola Gianotti. E poi i ragazzi, gli studenti della Silvio D’Amico che presentano qui un loro progetto, le orchestre giovanili, i talenti che saranno protagonisti dei mondi che verranno». 
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