La conversazione impossibile tra Pirandello
e Putin: Demarcy-Mota alla Pergola di Firenze

Un momento di "Ionesco Suite"
di Katia Ippaso
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Sabato 23 Aprile 2022, 19:26 - Ultimo aggiornamento: 19:28

Firenze

«Vorrei assistere a una conversazione tra Pirandello e Putin. Si dovrebbe intitolare “Le due P del ventesimo secolo”». Emmanuel Demarcy-Mota, direttore del Théâtre de la Ville di Parigi, è in questi giorni al Teatro della Pergola di Firenze per accompagnare due sue creazioni, “Ionesco Suite” e “Six personnages en quête d’auteur”, ovvero “I sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello. Ed è l’occasione per nominare i venti di guerra, i soprusi del tempo e la necessità di un teatro “engagé” orientato verso il domani.
«Ionesco ci ha insegnato a ridere della nostra angoscia esistenziale. Pirandello ci ha portato a considerare l’eternità del personaggio rispetto alla finitezza umana. Tutti i grandi autori hanno creato personaggi che ci sopravviveranno. Questo lo sanno bene gli uomini politici. È per questo che in maniera maldestra cercano di diventare a loro volta personaggi di una scena che è molto spesso mediocre, e quasi sempre crudele» dichiara il regista francese.
Sarebbe quindi a causa dell’impossibilità di eguagliare Amleto o Antigone che uomini come Putin naufragano nel mare delle loro stesse paure, facendo della paura e del terrore lo strumento d’attacco, l’arma con la quale cercare di dominare un mondo che invece avrebbe bisogno di tutt’altro sguardo per non collassare. Interessante visione. D’altro canto, cos’altro dovrebbe fare un regista di teatro se non portare uno sguardo sul presente? Abbiamo assistito prima a “Ionesco Suite” e poi a “I sei personaggi”. Ci è chiaro che ci stiamo muovendo in un terreno fertile, in cui il pensiero si coniuga alla prassi teatrale in un modo molto poco autoreferenziale.

Basti pensare che gli attori di “Ionesco Suite” sono gli stessi da 17 anni. «Ho montato la prima edizione di questo spettacolo nel 2005. Seguo gli stessi attori nel loro invecchiamento e nella loro durata, all’interno della durata della vita» spiega Demarcy-Mota, che ha creato attorno all’universo di Ionesco una partitura feroce, un vortice di situazioni tragiche e comiche che ribaltano continuamente l’angoscia in sorriso e il sorriso in efferatezza fisica (e metafisica). D’altro canto, qui abbiamo a che fare con la condizione esistenziale. Niente di meno che con la ragione per cui nasciamo, invecchiamo, ci feriamo e ci consoliamo gli uni con gli altri. Per poi, fatalmente, scomparire da questa forma terrena. E poi di nuovo tornare, in un ciclo continuo di crudeltà, balsamo, sofferenza, gioia, sparizione e rinascita. 
Con Pirandello, poi, Demarcy-Mota è riuscito a fare un miracolo. Da tempo non si vedeva una versione così compiutamente “misterica” de “I sei personaggi”: tensione, thriller, melodramma, esperienza medianica, e sapiente opera di rappresentazione. Cosa è realtà? Cos’è finzione? I personaggi si muovono su una soglia diafana, sottilissima, che ci conduce dai vivi ai non più vivi, e dai non più vivi ai vivi, tutti abitanti di un palcoscenico-Ade, un trapassatoio argenteo fatto di gesti che mettono paura, nella loro esattezza: giochi d’ombra, battiti d’ala, suoni ancestrali, scene e parole che arrivano da “non si sa dove”.
Era il 9 maggio del 1921 quando l’apparizione delle creature fantasmatiche sul palcoscenico del Teatro Valle portò un vero e proprio stravolgimento tellurico nella scena mondiale. Sono passati più di cento anni. Come affrontare oggi i “Sei personaggi”? Quale luce gettare sulle loro domande inquietanti e le loro questioni esistenziali? E’ la domanda che si è fato Demarcy-Mota. «Ricordiamo che nel 1921 Albert Einstein riceveva il Premio Nobel per la sua Teoria della relatività» continua il regista francese. «Siamo in un periodo post-bellico e Pirandello si interroga sul senso del reale e della realtà.

La realtà è il prodotto della nostra immaginazione, mentre il reale esiste aldilà di noi. Con il Novecento e con Pirandello passiamo da una visione dell’umanesimo in cui l’uomo è al centro di tutto alla necessità di creare un nuovo umanesimo in cui il reale esiste a prescindere dalla nostra specie. È per questo che è stato un errore chiudere i teatri durante la pandemia. Noi non possiamo vivere una vita degna di essere vissuta senza le parole di Amleto, di Antigone o dei Sei personaggi». 

L’accelerazione della storia recente ci ha portato a fare i conti non solo con la chiusura dei teatri in tutto il mondo (per la pandemia), ma anche con la nuova distruzione dei teatri, con le scene devastanti di Mariupol assediata e del teatro bombardato. «Per questo vorrei immaginare un dialogo tra Pirandello e Putin» conclude Demarcy-Mota che ha ricevuto dalle mani di Marco Giorgetti, direttore generale del Teatro della Pergola, la chiave d’oro del camerino di Eleonora Duse. «E’ un oggetto simbolico che consegniamo raramente. Precedentemente, l’abbiamo donata a Franco Zeffirelli. Proprio qui, alla Pergola di Firenze, Eleonora Duse chiese uno spazio per potersi concentrare prima di andare in scena. Nacque l’idea del camerino degli attori così come lo conosciamo» spiega Marco Giorgetti. 
Con l’arrivo di Demarcy-Mota e della sua compagnia a Firenze si scrive un nuovo capitolo dell’accordo stilato tre anni fa tra il Teatro della Pergola e il Théâtre de la Ville, che si concretizza nella “Carta 18-XXI”: un documento in continua trasformazione lanciato verso le nuove generazioni e orientato a definire un’idea di Europa molto diversa da quella che si presenta davanti ai nostri occhi impotenti, con guerre fratricide e teatri rasi al suolo.
Ambiente, parità di genere, nuove generazioni, arte e salute, inclusione sono le linee-guida di un accordo che si allarga su altri fronti, coinvolgendo il Portogallo, la Grecia, la Romania, il Kossovo e la Lituania, in una mappatura in continua evoluzione. «Queste giornate sono un punto d’arrivo e di ripartenza e i due spettacoli della compagnia guidata da Demarcy-Mota sono solo il punto di massima esemplificazione di quello che intendiamo come “nuova alleanza dei teatri europei”: non una politica di scambi, ma la costruzione di un cantiere. Nel cast dei “Sei personaggi”, ci sono attori che hanno lavorato con Strehler e con Chéreau. Questo significa costruire un attore europeo» specifica Marco Giorgetti. 
«Già l’idea di recitare Pirandello in lingua francese testimonia quello che intendiamo dire con un teatro europeo in cui le diverse lingue risuonano come un unico affresco» continua Demarcy-Mota. «Siamo perfettamente convinti che la cultura possa avere un ruolo determinante nella costruzione dell’Europa. Mentre c’è chi tenta di distruggere tutto, noi ci ostiniamo a credere che si possa lavorare in senso contrario. Per questo dobbiamo tutti assumerci una responsabilità attiva nella mappatura di un nuovo futuro». Come esempio tangibile di questo lavoro che va controvento, sia il Théâtre de la Ville che il Teatro della Pergola si sono resi disponibili ad accogliere artisti ucraini. 
«La pandemia prima e ora la guerra hanno fatto traballare le normali relazioni di solidarietà” conclude il regista francese. «Per questo, non possiamo che ripartire da qui, dal rapporto con l’alterità e dall’idea di un lavoro collettivo che evada dai confini dell’io».

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