Michieletto alla Scala con Salome: «La danza dei sette veli è il film di un abuso»

Salome, regia di Damiano Michieletto,
di Simona Antonucci
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Sabato 20 Febbraio 2021, 09:36

«Orfana, cresciuta da una madre che ha sposato il cognato, Salome è un Amleto allo specchio. E il fantasma shakespeariano è il Profeta: una voce scomoda che le illumina il buio del suo passato, raccontandole verità difficili da sostenere. Le dona consapevolezza. E morte».

Damiano Michieletto presenta la prima nuova produzione scaligera dopo il lockdown: l’opera di Richard Strauss che sabato 20 febbraio andrà in scena alle 20, su Rai 5 per Rai Cultura, oltre che su Radio 3 e sul circuito Euroradio, con Riccardo Chailly sul podio (e non Zubin Mehta, convalescente dopo un malore durante le prove), Elena Stikhina (Salome) al debutto scaligero, Wolfgang Koch come Jochanaan, Gerhard Siegel come Herodes e Linda Watson come Herodias.

 

Una Salome senza tempo, vestita di bianco e di sangue, vittima di una tragedia familiare che dal mito dialoga con ogni epoca: «Arriva a corte come un trofeo offerto dalla madre al nuovo consorte e finisce per subire gli abusi del patrigno».

Vittima, ma anche carnefice. E simbolo di una seduzione inquietante. «La danza dei sette veli non è altro che il film di una perversione sessuale con una bambolina di cui possedere la verginità. Comparirà il doppio di Salome, lei bambina. E il doppio di Erode che balla con lei. I fili rossi sul vestito che le viene strappato sono presagio della sua fine, sepolta dentro la cisterna con il Profeta e il padre, tutti gli scheletri nell’armadio di questa famiglia malata».

L’allestimento avrebbe dovuto debuttare l’8 marzo 2020: le prove erano già avanzate quando, il 23 febbraio, l’attività dei teatri venne interrotta dalla prima ordinanza di contenimento del Covid 19. La scena è astratta, avvolta in uno spazio bianco, senza riferimenti storici, da cui emergono segni simbolici.

MITO GRECO

«Linguaggio epico, come nel mito greco. L’impianto è rimasto lo stesso. Uno spettacolo che al momento va in streaming, ma che è stato creato per gli spettatori in sala. E appena possibile sarà riproposto dal vivo. Per il pubblico, oggi ancora costretto a casa, abbiamo lavorato a un’ottima registrazione». Operazione fondamentale per creare una memoria storica dei teatri. «Se c’è una cosa positiva di questo periodo è proprio la collaborazione con la tecnologia. Avere buone riprese significa non disperdere gli allestimenti, così da riproporli anche quando le sale verranno finalmente riaperte, a disposizione anche di chi non può permettersi una poltrona», spiega il regista veneziano che da quando è scoppiata la pandemia ha sperimentato le più diverse e sofisticate possibilità del teatro musicale, accogliendo acuti e arie d’avanguardia.

IL FILM

L’estate scorsa ha proposto un Rigoletto cinematografico proiettato su un maxi schermo al Circo Massimo. Al momento sta lavorando al film tratto da Gianni Schicchi e prodotto della Genoma di Paolo Rossi Pisu che girerà in primavera nelle campagne della Toscana: «A differenza di tanti altri lavori nati in ambito teatrale, il nostro si è liberato da quel mondo. Ville con piscina, studi notarili, conventi di frati, intrighi alla Agatha Christie e humour alla Monicelli. L’orchestra del Costanzi diretta dal maestro Montanari registrerà la base sui cui, dal vivo, un cast tutto italiano interpreterà questo film, opera, musical».

E poi una Jenůfa di ghiaccio che ha appena incantato in streaming dalla Staatsoper di Berlino, una Káťa Kabanová che inaugurerà a maggio il Festival di Glyndebourne e un suo adattamento drammaturgico di due atti unici cechoviani, La domanda di matrimonio e L’orso, registrati al Teatro Goldoni di Venezia e riproposti domani, subito dopo la sua Salome. È passato un anno, ed è cambiato il mondo: che cosa resterà di tutte queste esperienze? «La voglia di tornare agli aventi collettivi. C’è bisogno urgente di socialità». 

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