Gli spettatori sono invitati a seguire gli attori lungo un percorso che si struttura in due parti, quasi a simboleggiare le due città attraverso le quali dovrà muoversi Edipo. Due città: la città del mondo e la città interiore: «La città del mondo è malata, l’umanità intera è contaminata. La sterilità divora le risorse, gli uomini non hanno di che mangiare, le donne partoriscono sangue. «Questo è fuori, è l’esterno, un accampamento di migranti che non hanno più un luogo dove stare – commenta Corsetti – Edipo può salvare il mondo, ma deve penetrare nella città interiore, nel cuore stesso dell’Io. Edipo deve portare a termine la sua indagine, sapere chi ha ucciso il Re. Edipo si riflette all’infinito, nella sua mente tante parti di lui diventano i personaggi. Tanti Edipi che si moltiplicano e devono districarsi all’interno della sua anima per arrivare al fondo dell’indagine».
Ad interpretare questa moltitudine di Edipi, alla ricerca della verità, sono i venti attori della Compagnia, tutti provenienti dall’Accademia Silvio D’Amico, tutti personaggi frutto di questo mondo interiore. Edipo si moltiplica e si scompone dunque «come in un sogno», ed è proprio la scomposizione a farsi cifra estetica dello spettacolo: a troneggiare sui personaggi – quadro dopo quadro – proiezioni di corpi assemblati come con ritagli di giornale, facce coi lineamenti spezzati, bocche spalancate e occhi caleidoscopici che fissano atterriti il cielo del palcoscenico. È l’umanità misera, spaventata e spaventosa che popola il fondale così come il palco, abitato da personaggi in completi eleganti, giacche, cravatte e camicie, o abiti da sera rossi come il sangue. Hanno in testa corone di metallo e corone di fiori, camminano, corrono, svengono, si aggrappano all’impalcatura che sovrasta la scena in verticale, tracciando una costellazione di spunti visuali: lo scheletro di una mappa per districarsi dentro alla tragedia. L’inquieta ricerca degli Edipi che brulicano sul palco diventa metafora dell’esplorazione del sé, unico percorso possibile per approdare, forse, infine, a una riflessione sull’altro.
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