Nasce Calibano, la rivista dell'Opera di Roma sui temi d'attualità legati agli spettacoli in programma

Non un magazine promozionale delle attività della fondazione, ma uno strumento per costruire percorsi ed esplorare temi

Un particolare della copertina della rivista del Teatro dell'Opera Calibano, firmata dall'artista Marinella Senatore
di Simona Antonucci
4 Minuti di Lettura
Martedì 24 Gennaio 2023, 21:15 - Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 12:08

«I teatri, solitamente, parlano al pubblico dei titoli d’opera, degli artisti, delle produzioni in calendario. Noi abbiamo scelto un altro modo, una rivista di approfondimento, per riflettere su temi che riguardano tutti: pagine per guardarsi attorno, creare una comunità di pensiero a partire da ciò che accade sulla scena». Il sovrintendente dell’Opera di Roma, Francesco Giambrone, presenta Calibano: non un magazine promozionale delle attività della fondazione, ma uno strumento per costruire percorsi ed esplorare temi che tocchino gli spettacoli in programma.

 

NUMERO ZERO

«Il numero zero, appena presentato, in libreria a fine mese», continua Giambrone «è incentrato sulla questione del blackface (la pratica, oramai avversata, di interpreti bianchi con la faccia dipinta di nero) e dunque della questione razzista, che inevitabilmente porta con sé. Articoli, saggi, testimonianze e illustrazioni, in occasione della “prima” della nuova produzione di Aida, in programma in 31 gennaio». In collaborazione con la casa editrice effequ, il Teatro dell’Opera di Roma, consegnerà, ogni sei mesi, alle librerie italiane, un volume monografico, culturale, non musicale, dedicato a un titolo d’opera.

Intelligenza artificiale

 «Dopo il numero zero», spiega il direttore Paolo Cairoli «affronteremo in primavera il tema delle discriminazioni di genere tra Oriente e Occidente, in occasione della Madama Butterfly, mentre a novembre prossimo, per l’inaugurazione di stagione con Mefistofele, analizzeremo il post-umano». Veste grafica raffinata, le 130 pagine alternano ai testi immagini elaborate da artisti (la copertina di questo numero è di Marinella Senatore, mentre le illustrazioni sono realizzate da Simone Ferrini) che “dialogano” con software e intelligenza artificiale: al software vengono affidate parole chiave o brani tratti dagli articoli, oltre a indicazioni stilistiche, affinché dal testo si generino automaticamente le immagini: l’effetto è straordinario.

La Luiss

La pubblicazione “hi-tech” offre un ricco apparato di saggi firmati da studiosi, docenti universitari, critici musicali e giornalisti. «E si sta cercando anche una collocazione online perché tra un numero e l’altro si possano aggiungere altri contenuti», aggiunge Cairoli, responsabile della comunicazione del Costanzi e alla guida di una redazione composta da composta da Christian Raimo, Cosimo Manicone, Giuliano Danieli e dagli studenti della Luiss Alissa Balocco, Caterina di Terlizzi Benassati e Matteo Giusto Zanon.

Tra i testi compresi nel numero zero, Neelam Srivastava indaga le radici colonialiste del blackface; Andrea Peghinelli sottolinea i rischi del «cieco naturalismo» e di una concezione iperrealistica dell’interpretazione per la quale un personaggio di colore deve necessariamente essere affidato a un nero; Alessandro Portelli racconta la storia dei minstrel show; due i contributi, uno sui colori e uno sui suoni, rispettivamente di Marialaura Agnello e Paolo Pecere; Ilaria Narici analizza il caso di Otello, che in origine non veniva truccato di nero per non turbare le coscienze con una storia d’amore tra un africano e una donna bianca.

Michael Jackson

Daniele Cassandro ricorda Michael Jackson e il suo “sbiancamento”; l’egittologo Enrico Ferraris affronta «la costruzione dell’altro ai tempi di Aida», mentre la questione della cancel culture è affidata alla giornalista e scrittrice Costanza Rizzacasa d’Orsogna. Un articolo di Daniele Manusia, giornalista sportivo, ricorda come anche lo sport sia tutt’altro che esente da razzismi, nonché un contributo dell’egittologo Enrico Ferraris, esamina la costruzione dell’altro ai tempi di Aida. Calibano ospiterà anche recensioni di libri sul tema; e non mancherà lo spazio per la prosa e la poesia, con una breve antologia poetica curata da Stefano Bottero e un racconto di Giordano Tedoldi. «Calibano vuole osare», rivela Giambrone «guardare con coraggio e in maniera laica, critica, aperta e libera ai problemi dell’oggi, piuttosto che sfuggirli o lasciarli cadere nel neutro silenzio di scelte di comodo. Vogliamo che il pubblico si interroghi con noi. Perché il teatro è il luogo dove affiorano e si pongono domande, dove si ragiona insieme su risposte possibili e impossibili».

Shakespeare

«E se vi siete chiesti perché Calibano», conclude Paolo Cairoli «non ce la caveremo dicendovi che Shakespeare è sempre un ottimo riferimento per chi si occupa di teatro. Innanzitutto Calibano vuole essere un omaggio ai coraggiosi esempi di riviste-laboratorio che ci hanno preceduto dandosi lo stesso nome. E poi nella Tempesta Calibano è il figlio di una strega, o di una donna presunta tale; è considerato un’anomalia, è escluso, marginalizzato, disumanizzato. Ecco: noi vogliamo partire rimettendo la sua voce al centro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA