Alain Platel: «Il mio Requiem è un distillato di Mozart per celebrare la vita»

Lo spettacolo Requiem pour L. che ha chiuso il Festival Torinodanza
di Simona Antonucci
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Lunedì 3 Dicembre 2018, 21:31
 Il Requiem di Mozart interpretato da una Gibson rossa, una fisarmonica, una tuba, una piccola tastiera a lamelle che si suona con i pollici. E da quattordici musicisti africani, in abiti scuri e collane colorate, che eseguono e danzano, ognuno secondo la propria tradizione, variazioni sul tema dell’ultima composizione del genio austriaco, morto prima di poter terminare il capolavoro.

Alain Platel, uno dei più creativi e apprezzati coreografi dei nostri tempi interpreta un testo sacro, la Messa in re minore, e reinventa un suo rito funebre dove si canta, si balla, si suona e si elabora il dolore in modo vitale, con speranza. «Quando Fabrizio Cassol, il compositore con cui lavoro da anni mi ha proposto di creare qualcosa insieme, partendo dal Requiem, sono rimasto frastornato», spiega Platel, «l’operazione mi sembrava troppo audace, quasi arrogante. Poi ho sentito i primi brani della partitura. E mi hanno incantato: un distillato di Mozart, contaminato da suggestioni di ogni parte del mondo che trasformano il rito in una celebrazione della vita».

E il pubblico, alle Fonderie Limoni Moncalieri, si è sciolto in un applauso prolungato, abbracciando la performance con calore e condividendo l’intima riflessione. Con questo spettacolo che tocca le corde più profonde della sensibilità e sfiora tutti i linguaggi artistici, dalla musica alla danza, dai video al teatro, chiude il primo dicembre il Festival Torinodanza che con due mesi di programmazione e una ventina di titoli ha offerto una vetrina della scena globale.

È sempre più difficile definire che cosa sia, oggi, la danza contemporanea?
«Non credo di essere la persona giusta per individuare un indirizzo collettivo. Non sono un danzatore e sono coreografo per caso. Non ho una compagnia stabile, solo un posto dove incontro i gruppi con cui di volta in volta condivido i miei progetti. Artisti da ogni parte del mondo che portano i loro linguaggi e le loro fisicità. Alcuni provengono dal balletto classico, altri dall’hip hop o dai sentieri più diversi. Stiamo insieme anche un anno prima che si delinei uno spettacolo. Ma è sempre dalla comunicazione dei corpi e delle emozioni che partono le mie proposte».

Lei ha cominciato a lavorare come psicoterapeuta, a lungo in contatto con la disabilità e la malattia mentale. Come è arrivato alla danza?
«Sono stato accanto ai bambini per molti anni. Nel tempo libero, per hobby, insieme con degli amici facevamo spettacoli nelle cantine. Sono andato avanti a lungo con entrambe le attività prima di capire quanto il lavoro psicologico potesse alimentare l’altro. I miei spettacoli sono nati per caso, ma tutti ispirati dall’osservazione delle persone, dalle parole che i corpi si scambiano senza parlare, dai movimenti dei più piccoli e dei malati».

Oggi Mozart, in passato Bach, Verdi, Wagner: la musica classica è una compagna della sua vita?
«L’incontro con Gerard Mortier, sovrintendente di teatri d’opera e grande amico scomparso qualche anno fa, è stato centrale. Prima di morire mi disse di concentrarmi su Mahler. Mi propose anche di avvicinarmi alle regie liriche, ma io trovo che siano ancora troppo antiche».

Il sodalizio con il compositore Cassol.
«Dura da anni e in “Requiem pour L.” abbiamo incrociato i desideri di incontrare Mozart e le necessità di elaborare perdite personali.
Al lavoro musicale e coreografico si è aggiunto un regalo speciale da Lucy, la L. del titolo, che ci ha permesso di filmare gli ultimi attimi sereni della sua vita. Una scelta forte, ma la sua forza è la luce intorno a cui ruota tutto lo spettacolo». 
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