L'anniversario delle stragi di mafia al Teatro dell'Opera. Il fotografo Francaviglia: «Ecco le donne del digiuno, affamate di giustizie»

Letizia Battaglia in un ritratto di Francesco Francaviglia, 40 anni, palermitano
di Simona Antonucci
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Domenica 22 Maggio 2022, 16:51

«Ecco le donne che di fronte al sangue dell’estate del ‘92 occuparono piazza Castelnuovo a Palermo con una staffetta di digiuno. Ho lavorato per raccontare il percorso stragista del ’92–’94 che avvolse il nostro Paese nel terrore e ho scelto di attraversare questa storia ritraendo alcune delle protagoniste di quel periodo. La fotografia ha una funzione sociale, crea memoria, conferisce alla storia l’immortalità. Per chi fa un lavoro come il mio, non è possibile restare spettatori».

 

Francesco Francaviglia, 40 anni, palermitano, presenta le protagoniste dell’allestimento audiovisivo Darklands – Volti della memoria: «Le donne che decisero di denunciare la loro fame di giustizia nel cuore di Palermo». Foto, voci del passato, frammenti di telegiornale, interviste, testimonianze di pentiti e delle siciliane che sfidarono il silenzio, con le musiche di Sollima, in scena al Teatro dell’Opera: alle 20 del 23 maggio 2022, trent’anni dopo il 23 maggio 1992, quando sull’autostrada A29 venivano assassinati il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Mortinaro.

Una serata in memoria della strage di Capaci e di via D’Amelio, avvenuta il 19 luglio del 1992, nella quale persero la vita il magistrato Paolo Borsellino con i cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Cosa si vedrà in scena?

«I ritratti delle donne del digiuno sono protagonisti del mio allestimento video. Trentatrè ritratti, un fondo nero e una luce dura che non nasconde ma fissa le espressioni, le emozioni, gli indizi di ogni singola storia personale. Per raccontare l’orrore di quel tempo, ma anche l’incredibile energia di persone capaci di dire no».

Come è organizzato il racconto?

«Ci sono tanti modi per raccontare una storia importante che ha segnato una intera comunità.

Io utilizzo immagini di repertorio, stimoli visivi, suoni, musica, le interviste alle donne e voci narranti della memoria, che compongono, tutti insieme, la mia gestazione dei ritratti. Ho trascorso metà della mia vita a suonare il violoncello, oggi utilizzo la macchina fotografica. Nel mio pensiero immagini e suoni sono imprescindibili».

Le musiche di Giovanni Sollima che ruolo hanno?

«Sono un’altra voce narrante. Protagonista anch’essa. La sonorità di “Darklands – Volti della Memoria” scandisce e accompagna il sentire e le visioni di questo mio viaggio nella memoria. Io credo fermamente nella fotografia come esplorazione di se stessi, come strumento di ricerca della propria storia e ne faccio uso per raccontare le storie».

Cosa vide in quei volti di donne?

«Molte di queste donne purtroppo oggi non ci sono più. Molte di loro hanno continuato per tutta la loro vita con il loro impegno sociale, a contribuire e lottare per un mondo più giusto e più bello. Alcune sono volti noti: Pina Maisano Grassi, moglie di Libero, l’imprenditore ucciso per essersi ribellato al pizzo; la fotografa Letizia Battaglia. Altre, volti di donne del popolo, come Michela Buscemi, nota per essersi costituita parte civile al maxiprocesso dopo la morte dei suoi due fratelli; altre ancora sono ritratti di donne che hanno continuato la loro “resistenza” in una classe di scuola, in un ufficio della Regione, in un quartiere difficile come quello dello Zen, nella società civile, nella cultura e in politica: Bice Salatiello, Virginia Dessy, Anna Puglisi, Simona Mafai, Rita Borsellino. Ho voluto inserire inoltre i ritratti di Giancarlo Caselli che a Palermo formò un pool antimafia, e di Vincenzo Agostino padre dell’agente ucciso che dal giorno del delitto non taglia la barba. Uomini a cui queste donne hanno dato sostegno e forza».

Che messaggio arriva da quei volti?

«Sono le donne che quel terribile giorno dei funerali degli agenti della scorta di Borsellino, mentre una folla immensa imprecava contro i politici, decisero di proclamare un digiuno nella piazza principale di Palermo. Sono donne che di fronte al sangue dell’estate del ‘92 decisero di mettere in gioco, con un’azione collettiva, non solo la loro quotidianità, ma anche la loro fisicità».

Che ricordi conserva?

«La fotografia fornisce una testimonianza e fotografare significa creare una relazione speciale con chi si sta fotografando, di complicità, di fiducia. Il tempo con loro e le loro narrazioni è diventato anche il mio tempo. Ricordo, per esempio Letizia Ferrugia che si offri di riattaccarmi un bottone della camicia che si era scucito. Ha continuato a cucire quel bottone per ore! E mentre cuciva continuava a raccontare di quelle giornate. Il fare e il narrare rendeva tutto tangibile ed evocativo al tempo stesso»

Letizia Battaglia? Come la conobbe?

«Ho frequentato casa di Letizia sin da quando ero bambino. Il giorno in cui la raggiunsi per questo ritratto, entravo da fotografo. Era la prima volta che la fotografavo. Poi le feci tanti altri ritratti. Mi disse: “Adesso si. Adesso sei un fotografo”. È come se la mia carriera avesse avuto inizio quel giorno».

Un ritratto è dedicato a Maria Maniscalco, sindaco San Giuseppe Jato, suo paese natale.

«Ricordo l’incontro con lei. Quello fu un momento molto importante per me. Mentre ero bambino lei era sindaco di San Giuseppe Jato, il luogo in cui sono cresciuto e notoriamente frequentato da boss mafiosi. Era per me come un’eroina. Quando usciva la sera dal palazzo del Comune, tutti si allontanavano da lei, per paura, temevano di restare vittime insieme a lei di una sparatoria, di un agguato della mafia. Mentre la fotografato ho trovato nel suo sguardo una dolcezza ed una forza che non avevo mai visto così, insieme nello stesso volto. Maria Maniscalco, nonostante le minacce e le intimidazioni è oggi con noi».

Trent’anni dopo questo progetto che valore assume?

«Nonostante il tempo, è necessario ricordare a noi stessi che la lotta alla mafia deve essere un impegno quotidiano, non solo della magistratura o delle istituzioni, ma fondamentalmente di noi tutti. Ci sono ancora domande senza risposta, vittime che aspettano giustizia. Una coscienza che deve restare vigile. La memoria ha senso quando è presenza, un volano per un futuro migliore, senso di responsabilità».

Per quale causa oggi sarebbe giusto tornare a digiunare?

«Per contribuire a fermare le guerre».

Ha dei progetti?

«Nell’ultimo anno ho avuto modo di documentare in Giordania una missione umanitaria promossa dall’Università Cattolica a supporto di donne e uomini iracheni che hanno trovato rifugio ad Amman. Mi sono reso conto di quanto sia ancora urgente oggi impegnarsi per l’affermazione della libertà e dei diritti di ogni essere umano, anche riguardo all’orientamento sessuale».

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