“Una squadra:” la Coppa Davis tra contrasti, talento e due magliette rosse. Docuserie sul trionfo (con sberleffo) dell'Italia in Cile

La foto immagine della docuserie "Una squadra"
5 Minuti di Lettura
Sabato 27 Novembre 2021, 18:44 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 09:56

Segnatevi giorno, ora e luogo. Voi appassionati di tennis e voi ammiratori di  imprese leggendarie. Voi affascinati dal bello e voi cacciatori di gesti epici, capaci di attraversare il tempo e lo spazio. Che siate tutto questo o solo una parte non importa. Questi sono il giorno, l'ora e il luogo: domenica 28 novembre, ore 17, Uci Cinemas al Lingotto di Torino. Domenico Procacci - produttore pluripremiato e affermato (Gomorra, Habemus Papam, La profezia dell'armadillo, serve altro?), fondatore di Fandango e qui per la prima volta nelle vesti di sceneggiatore e regista - presenta in anteprima “La squadra”, la docuserie da lui diretta e scritta insieme con Lucio Biancatelli e Sandro Veronesi sull'unico successo dell'Italia in Coppa Davis, nel 1976, all'Estadio Nacional di Santiago, in Cile.

In sala ci saranno tutti i protagonisti di quel trionfo, che per la prima volta (e per ora unica, lato maschile) assegnò all'Italia la celebre "Insalatiera d'argento". Con il capitano non giocatore della squadra, Nicola Pietrangeli, ci saranno i moschettieri che firmarono l'impresa: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli.

Allora, la squadra più forte del mondo: in cinque anni quattro finali. Atleti straordinari, caratteri forti, rivalità accese. E talenti purissimi.

Un frame del trailer ufficiale

I giorni drammatici della dittatura

Per l'anteprima del Torino Film Festival, una reunion per ricordare un successo da subito divenuto leggenda. E non solo perché per la prima volta l'Italia si aggiudicava la Davis. Sì, certo. Senza dubbio per questo. Ma anche per il contesto, come no, capace di dare all'evento i connotati dell'unicità e, perciò, dell'immortalità. Vediamo. Gli azzurri avevano vinto la finale della zona A del tabellone europeo battendo in finale la Gran Bretagna di John Lloyd e Roger Taylor per 4-1. Nella zona B, invece, si era imposta l'Unione Sovietica. Nelle altre due aree del mondo si erano affermate Cile e Australia. Il sorteggio aveva messo di fronte per le semifinali l'Italia all'Australia di John Newcombe e John Alexander e l'Urss al Cile.

Qui lo sport finisce per incrociare la geopolitica e la storia: in Cile da qualche anno era salito al potere il generale Augusto Pinochet, autore di un colpo di stato militare che l'11 settembre 1973, con estrema violenza, aveva deposto dalla guida del governo il socialista Salvador Allende, morto quello stesso giorno durante la presa del Palacio de La Moneda, sanguinoso atto d'esordio di un'infausta stagione segnata da una feroce dittatura. Per protesta contro il regime Pinochet, l'Unione Sovietica aveva rifiutato di giocare la semifinale, rinunciando al match. Dall'altra parte del tabellone, l'Italia di Panatta aveva invece regolato i conti con l'Australia, vincendo sui campi del Foro Italico la sfida con Newcombe & Co per 3-2. Era il settembre 1976. Finale a Santiago del Cile, dal 17 al 19 dicembre. Che fare?

Un frame del filmato

Le manifestazioni di protesta in Italia

In Italia si era scatenato il dibattito. Andare in Cile, riconoscere di fatto un regime dittatoriale, giocare peraltro sulla terra battuta dello Stadio Nazionale, nel periodo precedente utilizzato come campo di concentramento e repressione degli oppositori alla dittatura Pinochet: possibile? Numerosi gruppi politici di sinistra, con manifestazioni di piazza e prese di posizioni a mezzo stampa, si erano schierati contro la partecipazione alla finale. Coni e governo italiano, allora guidato dal democristiano Giulio Andreotti, avevano preferito non schierarsi, lasciando la patata bollente alla Fit, Federazione italiana tennis. Alla fine, la decisione: giocare.

La provocazione e il trionfo

È qui che lo sport incrocia la storia e si colora di rosso, come la tinta della maglietta scelta da Adriano Panatta, che mai aveva nascosto le sue simpatie politiche di sinistra: con quella divisa, sapientemente colorata, era sceso in campo per il doppio giocato come sempre in coppia con il suo compagno e amico Paolo Bertolucci, convinto ad adottare identico indumento. Una evidente provocazione e insieme un omaggio alle vittime della repressione di Pinochet. Solo per l'ultimo set di quell'incontro i due indosseranno la tradizionale maglietta azzurra: 3-6 6-2 6-3 9-7 il risultato finale del match, terzo punto e vittoria. Il giorno prima Barazzutti aveva battuto Jaime Fillol e Panatta aveva fatto la stessa cosa con Patricio Cornejo. I singolari del giorno dopo avranno valore solo simbolico. Quattro a uno e apoteosi. Altre tre volte quella squadra andrà in finale: nel 1977, nel 1979 e nel 1980, perdendo - nell'ordine - contro Australia, Usa e Cecoslovacchia. Ma ormai la storia era fatta.

Un frame del filmato

Il talento, i contrasti, la stima: il segreto di un successo

Ed eccola qui, di nuovo, quella squadra. Segnata dal talento e dai contrasti interni, tutti raccontati nel docufilm perché il bello è anche in questo e nessuno lo nega. Le divisioni, le fratture, le separazioni, e su tutto la stima reciproca, collante di caratteri e stili differenti. Una ricetta irripetibile e, ad oggi, irripetuta. 

A condurre l'incontro sarà Neri Marcorè. Per il direttore artistico del Torino Film Festival, Stefano Francia di Celle, “il cinema riscrive la storia: cinque punti di vista per raccontare eventi che hanno infiammato l'Italia. Emozioni, sorprese, entusiasmi e acrimonie si intrecciano sapientemente a preziosi materiali d'archivio per dare vita sullo schermo a una verità viva e cangiante”. Il lavoro passa in rassegna le immagini d'epoca e le incasella tra i ricordi dei protagonisti ripresi e intervistati oggi. “Raccontiamo - si legge nella scheda ufficiale - una squadra. Ma una squadra divisa, frammentata, con al suo interno rapporti difficili, a volte conflittuali, sia tra i giocatori che con chi li guida e allena. Una squadra, una nazionale, che nel momento in cui ha la vittoria a portata di mano viene osteggiata e combattuta nel suo stesso Paese. E nonostante tutto questo, in quegli anni la squadra più forte del mondo. E "Una squadra" è - appunto - il titolo. Una squadra che ha fatto la storia e segnato un'epoca. La nostra squadra. La nostra epoca.

© RIPRODUZIONE RISERVATA