L'arte di essere Zero: al Macro la mostra dedicata al cantautore romano

L'arte di essere Zero: al Macro la mostra dedicata al cantautore romano
di Paola Polidoro
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Giovedì 18 Dicembre 2014, 05:52 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 23:02

"L'artista che ha fatto di un'offesa il suo cognome", queste le prime parole del catalogo che accompagna la retrospettiva inaugurata oggi alla Pelanda.

Visitabile fino al 22 marzo, l'esposizione ha un titolo inequivocabile, “Zero”, Zero come Renato, e propone un allestimento multimediale nel cuore di Roma, a Testaccio, abbinato a un concorso rivolto agli studenti (www.renatozero.com e www.fonopoli.net per tutte le info; i biglietti della mostra vanno da 4 euro per le scuole a 15 euro).

Per i “sorcini” sarà un viaggio a ritroso, attraverso immagini, voci, interviste e documenti d'archivio. I cultori conoscono molti dei materiali, ma a chi vuole scoprire il fenomeno Renato Zero la mostra curata da Simone Veneziano (avvocato dell'artista) offre parecchie occasioni.

Divisa in sei ambienti, l'esposizione presenta su supporti multimediali la storia di un uomo e la storia italiana, attraverso volti celebri, accostamenti curiosi, video e riprese dal vivo con interviste al giovanissimo Renato, che racconta la sua passione per l'arte in ogni declinazione, compresi il teatro e il cinema che hanno caratterizzato i suoi esordi.

I costumi di scena che hanno dipinto il personaggio Zero sono esposti su manichini - senza volto e senza età - che sorvegliano dall'alto, lontani dallo spettatore, a evocare fantasmagoriche e irripetibili performance. Così irripetibili da dare l'impressione che a mancare al centro di questa esposizione pur curata e ricca sia proprio il Corpo dell'artista, il suo messaggio trasgressivo, insieme tradizionale e popolare, che ne ha accompagnato l'ascesa. La completezza del racconto supplisce però all'impossibilità di restituire il coinvolgimento che l'esperienza musicale offre, dando al visitatore la possibilità anche di ascoltarne il corpus discografico.

«È Natale malgrado l'apparenza», diceva Zero ai sorcini in uno dei suoi concerti storici, registrato a Roma nel dicembre del 1980. «È Natale anche per noi, per noi diversi (...) per noi che forse sembriamo strani, ma che in fondo siamo così umani».

Sottolineava così la diversità trasformandola nella bandiera di una provocazione sociale (forse) prima che artistica, il connotato di una schiettezza emotiva e fisica talmente schierata da poter sottoscrivere che Renato non si discute, si ama. In più di quarant'anni di carriera c'è stato spazio per tutto. Anche per le critiche, per parlare di fanatismo e di retorica, ma soprattutto per riconoscere anno dopo anno il talento e la passione che il ragazzo partito dalla Montagnola con i zatteroni in direzione via Tagliamento non ha mai tradito e non ha mai mancato di dimostrare. Ai suoi concerti abbiamo visto un pubblico in trasformazione. Dagli anni Settanta a oggi di acqua ne è passata sotto i ponti. E se non è più tempo di piume e di paillettes, se a qualcuno suonerà strano sapere che la rivista Rolling Stone ha messo "Zerofobia" tra i cento album della storia del rock, questo non fa che confermare le capacità camaleontiche dell'equilibrista che ha saputo assecondare ogni casualità e destino inventando le forme di una sempre nuova immagine.