L’edificio chiamato con il suo nome è forse lo stesso dove, ci racconta Svetonio, Augusto nel 2 a.C. riceve il titolo di padre della Patria. E’ certamente di età repubblicana (II sec. a.C.), ampliato poi in quella imperiale, con altri interventi sotto Domiziano, Adriano, Settimio Severo.
I GROTTONI
Vi sono stati ritrovati degli autentici tesori d’archeologia, oggi sparsi nei musei. Ma a guardarlo dalla spiaggia, ora sembra poco più di un informe montarozzo divorato dalle mareggiate. La villa possedeva un fronte sul mare di 500 metri, e alto 15. Ne sopravvive solo una pallida ombra; e il degrado si è accelerato proprio negli ultimi anni. La stessa soprintendenza parla di un «pessimo stato di conservazione», e di «fortissimo rischio di totale perdita» per parte del complesso, i cosiddetti “grottoni”, che erano poi dei magazzini sul mare.
Si vedono ancora resti delle murature; mosaici pavimentali nella parte superiore; i ruderi di un criptoportico che si chiama Biblioteca di Domiziano. Sotto la terra, anche vasti ambienti, però inaccessibili: un po’ perché i custodi sono pochi, ma molto perché non sono in ottima salute. Rischiano anche di collassare; manca ovviamente l’impianto elettrico, l’illuminazione. Abbondanti anche i rifiuti. Da qui vengono degli affreschi esposti nel museo della città. Ma i più notevoli ritrovamenti sono altrove. L’Apollo del Belvedere, alto due metri e venti, ha dato addirittura il nome a uno tra i più bei cortili vaticani; secondo Johann Joachim Winchelmann, è «l’ideale più alto dell’arte nelle opere antiche»: recuperato nel XV secolo, è una copia in marmo di un bronzo greco di Leocares, del 325 a. C.. E’ invece greco, del I a.C., il Gladiatore Borghese, scavato nel 1609 in 17 frammenti, ora al Louvre.
I TESORI
La Fanciulla di Anzio, ritrovata nel 1878 tra le rovine della Villa presso l’“Arco muto”, è esposta al Museo nazionale romano: una tra le più singolari statue dell’antichità; alta un metro e 70, è un’offerente con un piatto in mano su cui «sono una benda arrotolata, un ramo di alloro, una piccola zampa anteriore di leone, tutti elementi votivi», dice Licia Vlad Borrelli; i capelli annodati sulla fronte, un chitone dappreggiato cade sulla spalla e scopre il petto: infinita la dolcezza. Un appassionato locale, Claudio Tondi, figlio archeologo, è andato a recuperare un librino di Clemente Marigliani, “Il fascino delle rovine”, che riproduce delle cromolitografie del 1866; e con l’architetto Paolo Prignani, ha fotografato quegli scorci, dall’angolatura con cui erano stati ripresi.
Il paragone impressiona: al posto di arcate alte tre metri, sono rimasti muretti di decine di centimetri. Per carità: l’autore avrà forse “inventato” qualcosa, o ricostruito; ma il raffronto con oggi è disastroso. Anche foto più recenti lasciano capire quanto se ne è andato in malora per sempre. Maria Antonietta Lozzi Bonaventura, docente in pensione, è in un Comitato civico per la salvezza della villa, e fa da memoria storica: «Mezzo secolo fa, c’erano più parti della struttura che non oggi; me le ricordo. Verso il 1970, una mareggiata scoprì un muro totalmente affrescato. I dipinti furono staccati, e dimenticati decenni in due magazzini. Quando arrivarono i fondi del Giubileo, si scoprì che, in buona parte, erano svaniti: quanto rimane, è al museo».
Grosse lacune nella manutenzione? Forse. Nei progetti della soprintendenza dal 2012 al 2015, nemmeno un euro. «Qualcosa è stato fatto appunto con le risorse per il Giubileo», dice la professoressa. Poi, l’inverno scorso un’altra mareggiata. E in gran corsa, spunta una specie di molo perpendicolare, a pelo d’acqua, 660 mila euro di spesa; però, a difesa “dell’antico porto neroniano”, spiega un cartello, e non della Villa. «Opere con il consenso della soprintendenza, però non eseguite da lei». Una colata di cemento a ridosso del ruderi. Il primo passo per un futuro ed eventuale grande porto, che da tempo il Comune chiede: questo temono al Comitato per la difesa della Villa. «Rodolfo Lanciani, che scoprì la statua della Fanciulla a fine ’800, descriveva il porticato a mare nella zona dell’Arco muto; lo ricordo ancora, un po’ diroccato». Ormai è del tutto sparito. Del sogno di Nerone e altri tre imperatori, resta il ricordo. «E la rabbia per le occasioni perdute, per il passato lasciato svanire».
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