Vernon Reid e il Zig Zag Power Trio: «Il rock si evolve e non morirà mai»

Vernon Reid
di Mattia Marzi
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Sabato 26 Giugno 2021, 12:29

Oggi che la black music è tornata a ricoprire un posto di primissimo piano, grazie ai lavori di rapper come Kendrick Lamar, Tyler, The Creator, di cantautrici come H.E.R. (con la sua "Fight For You", ha soffiato l'Oscar per la Miglior canzone originale a Laura Pausini, quest'anno) e di popstar come Beyoncè, non si parla abbastanza dell'eredità artistica dei Living Colour. Era il 1988 e la band capitanata dal chitarrista Vernon Reid, scoperta da Mick Jagger dei Rolling Stones, esordiva con l'album "Vivid", con il quale rivendicò la matrice black del rock: dentro c'era anche la hit "Cult of Personality". Tra testi politicamente impegnati e provocazioni, il quartetto riuscì a far parlare di sé: come quando nel '90 incluse all'interno del secondo album "Time's Up" una canzone intitolata "Elvis Is Dead", nella quale Reid e compagni descrivevano senza giri di parole Presley come un ladro che aveva fatto successo appropriandosi di una cultura non sua: quella black, appunto. I Living Colour sono discograficamente fermi a "Shade", l'ultimo album del 2017. Due dei suoi componenti, lo stesso Reid (oggi 62enne) e il batterista Will Calhoun, ora sono impegnati con un altro progetto, il Zig Zag Power Trio (ne fa parte anche il bassista Melvin Gibbs, già braccio destro di Arto Lindsay). Il gruppo è al Torino Jazz Festival.
Non fu un po' troppo attaccare Elvis in quella canzone?
«Non era un attacco personale rivolto a lui: il pezzo aveva un significato più profondo, che in pochi colsero».
Eppure i versi del testo non sembravano affatto fraintendibili: "Elvis era un eroe per molti, ma il fatto è che fu un uomo di colore a insegnargli a cantare e poi venne incoronato re". Cosa volevate dire?
«Elvis rappresentava per noi l'emblema di un sistema corrotto e razzista come quello del music biz americano, di cui anche noi siamo stati vittime. Non ci perdonarono mai il fatto di aver rivendicato la matrice black della musica rock, con i nostri pezzi, da Cult of Personality in poi. Nei backstage dei festival e dei grandi eventi ci guardavano dal basso verso l'alto. Fu disgustoso».
Quincy Jones, icona della black music, leggendario produttore che negli Anni '80 fece di Michael Jackson il Re del Pop, ha recentemente accusato Elvis di razzismo, raccontando di non aver mai voluto lavorare con lui per questo. Ha buone ragioni per pensarlo?
«Se Elvis era davvero razzista, questo onestamente non lo so. So invece che il suo manager, il 'Colonnello' Parker, razzista lo era davvero. Una cosa è certa, però: Elvis ha avuto successo grazie ad una cultura che non gli apparteneva. Oggi si parlerebbe di un caso di appropriazione culturale».
Ora la black music sembra tornata ad essere musica di protesta, negli Stati Uniti: chi ha una marcia in più, tra gli artisti di nuova generazione?
«Kendrick Lamar è un gigante. Ma stimo moltissimo anche H.E.R.: definirla cantautrice è riduttivo, è una polistrumentista con un talento enorme. Lascerà il segno. Il suo album d'esordio Back of My Mind è un gioiellino. È giovanissima: deve circondarsi delle persone giuste».
Ai Living Colour una bella spinta la diede Mick Jagger, agli esordi: cosa ricorda del primo incontro?
«Era l''87 e Mick stava per iniziare a registrare il suo album Primitive Cool. Cercava un chitarrista. Gli fecero il mio nome. Mi presentai alle audizioni. Quando arrivai di fronte a lui mi tremarono le gambe: era la persona più famosa al mondo. A pensarci bene, ancora oggi nel rock'n'roll non c'è una star più importante di Mick Jagger: Bono e Sting, in confronto, sono pivellini. Jagger era già un gigante quando loro erano bambini».
Come andò quell'audizione?
«Bene. Mi prese. Suonai la chitarra alternandomi con David Stewart degli Eurythmics. Lo invitai ad assistere ad un concerto dei Living Colour al CBGB, storico club di New York. Quella sera demmo il meglio di noi. Ci prese da parte, dopo lo show: “Ragazzi, spaccate di brutto: voglio produrre il vostro album” Pochi giorni dopo eravamo in studio a registrare il disco di Cult of Personality».
Il cantante Corey Glover ha detto recentemente che la band sta lavorando a nuova musica: è vero?
«Sì. Prima della pandemia, lo scorso anno, abbiamo iniziato a registrare qualche pezzo nuovo. Ma senza fretta e senza darci scadenze. Capiremo cosa fare con quel materiale: forse pubblicheremo un Ep, più in là».
Nel frattempo è in tour con questo Zig Zag Power Trio: come nasce il progetto?
«Dall'idea mia e del batterista Will Calhoun di omaggiare le band degli Anni '70, i dischi che ci hanno permesso di diventare dei musicisti: da Are You Experienced della Jimi Hendrix Experience ai lavori dei Cream e dei Rush, che abbatterono le barriere tra i generi. È entusiasmante, dopo mesi di inattività, prendere un aereo e suonare fuori dal proprio continente».
Il digitale ha annullato le distanze: i romani Maneskin hanno appena conquistato il primo posto della classifica Hot Hard Rock Songs di Billboard con "I Wanna Be Your Slave". "Il rock non morirà mai", ha detto il frontman Damiano dopo la vittoria della band all'Eurovision Song Contest. Il solito cliché?
"Macché.

Non ho ancora avuto modo di ascoltarli, ma ha ragione: il rock davvero non morirà mai. Mi fa piacere che i giovanissimi si stiano riavvicinando alla musica suonata, alle chitarre, ai bassi, alle batterie. Questo dimostra, appunto, che il rock si evolve, si trasforma, ma resiste. E oggi è più vivo che mai».

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